POLIFEMO (libro IX vv. 252-269)

 

 

 

“Stranieri, chi siete? E di dove navigate i sentieri dell’acqua?

forse per qualche commercio, o andate errando così, senza meta

sul mare, come i predoni, che errano

giocando la vita, danno agli altri portando?

Così disse, e a noi si spezzò il caro cuore

dalla paura di quella voce pesante e di quell’orrido mostro.

Ma anche così, gli risposi parola, gli dissi:

“-Noi siamo Achei, nel tornare da Troia travolti

da tutti i venti sul grande abisso del mare;

diretti alla patria, altro viaggio, altri sentieri

battemmo: così Zeus volle decidere.

Ci vantiamo guerrieri dell’Atride Agamennone,

di cui massima è ora sotto il cielo la fama,

tale città ha distrutto, ha annientato guerrieri

innumerevoli. E ora alle tue ginocchia veniamo

supplici, se un dono ospitale ci dessi, o anche altrimenti

ci regalassi qualcosa; questo è norma per gli ospiti.”

Queste saranno le parole di Odisseo, ignorate dal ciclope Polifemo, una volta che sarà giunto nella sua grotta insieme ai compagni.

Proprio in quest’occasione emergerà tutta la genialità omerica, rispecchiata in Odisseo: egli infatti, in una situazione che è più che critica mantiene il sangue freddo ed inizia ad escogitare un modo per uscire indenne dalla caverna del gigante. Infatti Odisseo, prima di fare qualcosa, pensa sempre alle conseguenze della sua azione. Quando il Ciclope gli domanda dove sia ancorata la sua nave egli risponde che è colata a picco, poiché sa che Polifemo la saccheggerebbe, quando è tentato dall’idea di uccidere il nemico si blocca, sapendo che poi non sarebbe stato in grado di muovere il masso. Nel momento in cui Odisseo intuisce le intenzioni inizia subito ad escogitare un piano, fino a metterlo a punto: avrebbe accecato Polifemo insieme ai compagni dopo averlo ubriacato con del vino.

Prima che il Ciclope sia completamente ubriaco, Odisseo gli ripete per ben due volte il proprio nome: Nessuno. Infatti aveva previsto la reazione del pastore: avrebbe iniziato ad urlare dal dolore e i suoi compari sarebbero accorsi, ma alla domanda “Perché Polifemo con tanto strazio hai gridato?”  Lui avrebbe risposto loro: “ Nessuno, amici, m’uccide d’inganno, e non con la forza!”

La mattina seguente, quando il Ciclope avrebbe levato il masso dall’entrata per far pascolare il gregge i compagni seguiti da Odisseo sarebbero usciti dalla caverna sotto ai suoi stessi montoni. Ma per meglio capire quanto Odisseo sia diverso dall’eroe dell'Iliade, quanto la forza della mente sovrasti quella fisica, basta immaginare Achille al suo posto: probabilmente, accecato dall’ira, avrebbe ucciso il Ciclope, avrebbe trovato giustizia con la fierezza del corpo.

(Taxis Alessandro, 4^A)


L’OSPITALITA’ PRESSO I GRECI

Nella società greca descritta da Omero (1200-800 a.C.), i viaggi lontani dalla patria, che potevano essere lunghi, avventurosi e pericolosi, fanno nascere la necessità di poter contare su luoghi di scalo dove potersi rifornire e riposare prima di ripartire. Per questo motivo in Grecia si tesse una fitta rete di relazioni internazionali e vengono poste le basi per rapporti commerciali stabili e alleanze militari sicure. Di qui la nascita del vincolo dell’ospitalità, legato al dono ospitale, che vincolava ad una prestazione di alleanza, amicizia e solidarietà che si trasmetteva di generazione in generazione.

Il riconoscimento e l’adesione a questo vincolo era una presa di posizione, che ostentava aristocrazia e un reciproco riconoscimento sociale anche di civiltà.

Un esempio del rispetto di questo vincolo è l’episodio di GLAUCO E DIOMEDE

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