A cura di Paolo Bernardi
Benessere a scuola. Dal
Professore al Maestro: "la mediazione".
Resoconto finale, riflessioni e valutazione
del progetto
in collaborazione con
C. I. M. F. M.
Centro Italiano di Mediazione e di Formazione alla Mediazione
Introduzione
(scarica
il progetto formato rtf)
di Paolo Bernardi
Lasciando ai testi di Jacqueline Morineau e di Maria Rosa
Mondini l'onere di descrivere in modo analitico i presupposti
di base e le modalità di svolgimento del progetto "Dal
professore al maestro: la mediazione", mi sono riservato
il compito di accennare brevemente a quali sono state le motivazioni
che hanno spinto il gruppo di lavoro a dedicare a questo tema
una parte del nostro percorso di riflessione sulla professionalità
insegnante.
Parto da lontano, cioè da uno dei motivi ispiratori
del gruppo all'atto del suo costituirsi nel lontano '96: allora
la domanda fondamentale, mutuata da Dewey, fu "è
possibile insegnare la democrazia?" . Non so se in questi
anni siamo riusciti a rispondere, so però che il percorso
che abbiamo intrapreso ci ha portati apparentemente lontano
da quella motivazione iniziale. Solo apparentemente, però.
Il nostro primo incontro con la mediazione è avvenuto,
tra la fine del 2001 e l'inzio del 2002, mentre stavamo discutendo
sul da farsi, in vista della progettazione di un corso-laboratorio
per l'anno scolastico successivo: alcuni colleghi del gruppo
avevano già attivato percorsi di mediazione nelle loro
scuole (in particolare le Aldini-Valeriani ed il Copernico),
al fine di affrontare casi di conflittualità tra studenti
e tra studenti ed insegnanti, con l'intenzione di interrompere
il circolo vizioso "aggressività-conflitto-sanzione
disciplinare-frustrazione-aumento dell'aggressività"
che di solito caratterizza la modalità di azione della
scuola in questi casi. Gli interventi avevano avuto esito
positivo, ma soprattutto era stato il "metodo" (solo
in seguito imparammo da Jacqueline Morineau a non usare questo
termine
) ad aver lasciato un segno nei colleghi, e ad
aver indicato un possibile diverso atteggiamento dei soggetti
coinvolti nei confronti dei conflitti scolastici.
L'ipotesi, però, sembrava portarci lontano dal terreno
che avevamo battuto nel nostro percorso di autoformazione,
che era tutto interno alle dinamiche del rapporto educativo,
in particolare incentrato sulla figura dell'educatore e sulla
sua competenza ad "educare alla democrazia".
Mentre stavamo discutendo sulle varie opzioni, ci capitò
di riflettere su una frase, citata al termine di un dibattito
televisivo da un politologo italiano docente negli Stati Uniti,
che aveva colpito qualcuno del gruppo. La riporto a memoria:
"L'essenza della democrazia non è il diritto
di parlare, ma il dovere di ascoltare".
Se, quindi, democrazia è essenzialmente il dovere
di ascoltare, e quindi il riconoscimento del diritto di essere
ascoltati, ci sembrò allora che la mediazione si ponesse
del tutto in linea con le nostre premesse di base, in quanto
era basata sull'ascolto reciproco, sullo scambio e la condivisione.
Abbiamo quindi deciso di intraprendere il percorso, organizzando
una serie di incontri tra Maria Rosa Mondini, referente a
Bologna del gruppo di mediazione che fa capo a Jacqueline
Morineau, ed un "gruppo di progetto", di cui facevano
parte Paola Dalli, Alessandra Deoriti, Giovanna Gliozzi, Anna
Jannelli, Magda Indiveri, Tiziana Sgaravatto e Fabio Todesco,
ed nel quale sono state coinvolte, in una fase iniziale, anche
Cinzia Migani e Valentina Vivoli dell'Istituzione G.F. Minguzzi.
Durante questi incontri, il gruppo è stato immediatamente
coinvolto nelle pratiche che sono alla base della mediazione
secondo Jacqueline Morineau, vale a dire attività per
stimolare l'ascolto empatico, esercizi di rispecchiamento,
simulazioni di conflitti e di mediazioni, in un contesto e
con modalità che, il più delle volte, avevano
l'effetto di spiazzare i membri del gruppo, facendo emergere
resistenze e stimolando meccanismi di autodifesa.
In particolare, in molti di noi rimaneva una perplessità
di fondo: quanto di ciò che la mediazione ci proponeva
era riproducibile in un ambito scolastico, soprattutto nella
pratica quotidiana del rapporto tra insegnante ed insegnante,
tra insegnante ed alunno, tra alunno ed alunno, che non è
mai, o quasi mai, un rapporto "uno a uno", ma si
realizza in gruppo, all'interno di spazi e tempi didattici
ben definiti? Non avremmo finito per deviare dall'ambito prettamente
educativo per sfociare in quello, ben più complesso,
ancorché stimolante, delle dinamiche psicologiche individuali
e dei rapporti umani in senso più lato?
In teoria l'ambiente scolastico appare molto adatto ad ospitare
momenti di mediazione: la scuola è, o dovrebbe essere,
il "luogo della parola", nel quale tutte le relazioni,
i rapporti e gli incontri assumono necessariamente le forme
del parlare, dell'ascoltare, del leggere e dello scrivere.
Se poi consideriamo l'archetipo "drammatico" dal
quale sembra muovere il "metodo" di mediazione proposto
da Morineau, la scuola è effettivamente anche il luogo
della drammatizzazione dei rapporti, a partire dagli spazi
(lo spazio scenico della cattedra di fonte alla platea degli
alunni/spettatori).
In realtà, però, la nostra esperienza, in particolare
quella maturata in occasione del percorso di elaborazione
del progetto, mostrava una serie di resistenze nei confronti
delle "parole chiave" della mediazione, resistenze
che probabilmente erano determinate proprio dall'ambiente
di lavoro al quale implicitamente ognuno di noi faceva riferimento
ogni volta che intraprendevamo una fase nuova dell'esperienza.
I nostri meccanismi di autodifesa, di insegnanti che si consideravano
più "esperti" nella riflessione sulla propria
professionalità, ci sembravano prefigurare le ben maggiori
autodifese che un'eventuale proposta formativa del genere
avrebbe potuto incontrare nei colleghi.
La domanda era: "Quali possono essere le resistenze
che la scuola oppone (o può opporre) all'ingresso della
mediazione tra le pratiche consentite e diffuse al suo interno?"
In primo luogo la scuola è un ambiente che tende ad
essere artificialmente protetto dal conflitto. Nato come luogo
dello studio, come "ortus conclusus" nel quale realizzare
la formazione del discente in una prospettiva di percorso
razionale e rettilineo, anche nelle sue evoluzioni più
"aperte" il mondo scolastico fatica ad affrancarsi
da questa immagine . Se, quindi, uno dei presupposti delle
pratiche di mediazione è "accogliere il disordine",
di fronte a questo compito la scuola si può trovare
disarmata o, peggio, non disponibile.
Anzi, potremmo dire che la struttura disciplinare (in senso
lato) alla quale è uniformato il sapere scolastico
e la pratica didattica si pone come uno degli elementi privilegiati
per la costruzione di un ambiente sociale che tende a sopire
e a soffocare il conflitto, più che ad accoglierlo,
facendolo agire.
E non si tratta di contrapporre una disciplina scolastica
"all'antica" ad una scuola "moderna" più
disponibile al dialogo con gli studenti (la scuola degli "sportelli",
dei "CIC", dei "progetti accoglienza").
Se si pensa alla rigidità di certe programmazioni modulari,
basate sulla modernissima "didattica per competenze",
nelle quali però non è prevista (né da
parte degli alunni, né da parte degli insegnanti) alcuna
deviazione dai binari predefiniti costituiti dalle scadenze
dei moduli e delle valutazioni bimestrali, non ci si deve
stupire se poi avviene che proprio nelle scuole più
"all'avanguardia" rispetto a queste modalità
programmatorie si riscontra spesso il riemergere (o l'emergere)
di una conflittualità più accentuata tra soggetti,
che non trova evidentemente alcun luogo positivo di ascolto
e di accoglimento.
C'è poi l'ostacolo della "forma mentis"
degli insegnanti, di cui noi del gruppo di progetto siamo
stati buoni interpreti: intraprendere percorsi di "riconoscimento"
basati sull'ascolto delle emozioni (i cosiddetti "sentiti"),
sul "tagliare la testa", la razionalità,
e sul porgere l'attenzione alla "pancia", le emozioni,
i sentimenti, non solo contrasta con l'immagine più
diffusa che l'insegnante ha di se stesso, vale a dire di un
operatore culturale e della formazione la cui arma privilegiata
è, al massimo grado, la ragione, ma contrasta anche
con la nostra esperienza formativa e scolastica, l'unica attraverso
la quale abbiamo imparato ad insegnare.
Al di là delle maggiori o minori disponibilità
individuali, della più o meno convinta adesione al
metodo in questione ed ai suoi presupposti teorici, sarebbe
irresponsabile non considerare questo centrale "fattore
umano" all'interno della progettazione di un percorso
di formazione come quello che andavamo a proporre ai nostri
colleghi.
La preoccupazione, credo legittima, non era tanto riguardo
l'esito dell'imminente esperienza formativa, ma, più
a lunga scadenza, alla prospettiva e al senso di un inserimento
più stabile di pratiche di mediazione all'interno della
scuola.
Se è vero che, come scrive Morineau: "La perdita
dei tradizionali punti di riferimento religiosi e familiari
crea un vuoto che l'attuale funzionamento della scuola non
riesce a colmare. Studenti, Insegnanti, Educatori, Presidi,
Personale di servizio, nessuno è a proprio agio. Bisogna
dunque trovare nuove forme di relazione" , è anche
vero che in un contesto così problematico non è
facile ipotizzare che coloro che sono spesso parte in causa
nei conflitti possano facilmente identificarsi con quello
"specchio pulito" che dovrebbe essere il mediatore.
A questo punto è intervenuta una necessaria riformulazione
dell'obiettivo: il fine che ci ponevamo non era quello di
formare degli "insegnanti-mediatori", ma quello
di convincere gli insegnanti, a partire da noi stessi, del
fatto che l'inserimento di esperienze di mediazione e di formazione
alla mediazione all'interno della propria professionalità
poteva essere un'ottima occasione per esplorare il territorio
(spesso del tutto ignorato) dell'ascolto empatico, del silenzio
e dell'attesa, del rispecchiare e del rispecchiarsi. L'insegnante,
insomma, come "facilitatore della comunicazione".
Ipotizzando poi, in positivo, che in prospettiva il posto
della mediazione a scuola possa vedere ancora più efficacemente
protagonisti gli studenti, come del resto mi pare trasparire
anche dalle esperienze raccontate dalla Morineau nel suo libro
la funzione dell'insegnante-mediatore sarebbe quindi principalmente
quella di promuovere la realizzazione di percorsi di formazione
alla mediazione che coinvolgano anche i ragazzi, con la costituzione
di gruppi di studenti-mediatori qualificati che operino all'interno
della scuola, in contatto con i referenti "salute-benessere".
Morineau formula un impegnativo obiettivo, in termini piuttosto
assertivi: "I bambini (i ragazzi nel nostro caso) che
avranno seguito l'esperienza della mediazione durante la loro
vita scolastica saranno adulti diversi dagli altri
Insegnare
all'individuo a riconoscere quella parte di se stesso che
non ha a che fare con la razionalità. Restituirgli
l'altra metà di se stesso, poiché le sue emozioni,
i suoi sentimenti non possono essere dissociati dai suoi comportamenti."
.
"Allora è questo" ci siamo risposti "quello
a cui pensiamo quando pensiamo alla Mediazione a scuola
"
E per realizzare questo ci è sembrato molto utile investire
energie e risorse sulla formazione di un docente in grado
di avere questa sensibilità, di condividere questo
obiettivo.
Accantonate così le maggiori perplessità, abbiamo
proseguito sulla strada della progettazione e della realizzazione
dell'esperienza, ed i fatti, come spesso accade, hanno confermato
le previsioni più ottimistiche.
Il programma del corso, diffuso in tutte le scuole della
provincia, ha avuto subito un'ottima accoglienza, e le domande
di iscrizione sono state superiori al numero previsto come
limite massimo. All'atto del primo incontro, il gruppo risultava
composto da quattordici docenti, un membro del personale ATA
ed un genitore, a testimoniare la trasversalità dell'interesse
circa la mediazione nella scuola. Gli iscritti appartenevano
in misura equa alle quattro scuole che, a titolo diverso,
avevano partecipato alla stesura ed alla presentazione del
progetto: l'Istituto "Aldini Valeriani-Sirani",
l'Istituto "Laura Bassi", il Liceo "N. Copernico",
l'Istituto "Crescenzi-Pacinotti".
Poi Jacqueline Morineau, che in un primo momento doveva essere
solo marginalmente coinvolta nel percorso di formazione, ha
creduto fortemente nel progetto, tanto da voler essere presente
per più della metà delle ore di laboratorio.
Ed è stata, questa, senza dubbio un'opportunità
fondamentale, sia per l'innegabile carisma della persona,
sia per la sensazione, condivisa da tutti, che la possibilità
di un confronto diretto con la responsabile principale di
una così profonda riflessione sulla mediazione avrebbe
ulteriormente qualificato la nostra offerta
Come ho detto, non entrerò nel merito delle attività
svolte, ma voglio comunque testimoniare, come coordinatore
del gruppo, che, lungo tutte le 30 ore del corso non è
mai venuta meno una corrente di positivo coinvolgimento e
di adesione agli obiettivi, pur in un clima di aperto e franco
confronto, che non ha risparmiato alle due conduttrici richieste
di chiarimento, discussioni e dichiarazioni di perplessità
rispetto alle attività proposte .
In conclusione, gli insegnanti coinvolti, con il loro comportamento
durante il corso e con le loro valutazioni finali, e l'andamento
dell'attività che li ha visti protagonisti hanno confermato
la correttezza di alcuni assunti di partenza, e ci hanno dato
modo di elaborare alcune, provvisorie, riflessioni conclusive:
- la scuola è cosciente, almeno in alcuni suoi rappresentanti,
della assoluta necessità di fermarsi a riflettere sul'importanza
della dimensione dell'ascolto, se non vuole perdere irrimediabilmente
il contatto con i propri interlocutori, in particolare quelli
in difficoltà;
- questa pratica deve coinvolgere tutte le componenti della
scuola nel loro agire quotidiano, e non può essere
affidata in via esclusiva agli "esperti" (la politica
dei cosiddetti "sportelli"), che siano essi interni
o esterni alla scuola stessa;
- in questa direzione il cammino non è agevole: non
ci sono "tecniche" da applicare, e tantomeno "modelli"
unici da seguire, ma, qualunque sia l'opzione teorica, occorre
ripensare in profondità le modalità quotidiane
di comunicazione e di gestione dei conflitti nella scuola;
- infine, pur riconoscendo tutto questo, il ruolo dell'insegnante
di fronte ad un conflitto conclamato non può essere,
tantomeno all'interno della propria classe, quello del mediatore
tout court, ma semmai quello di facilitatore della comunicazione,
e di osservatore sensibile e attento di tutte le situazioni
conflittuali che meritano un eventuale intervento di mediazione.
Conclusioni senz'altro provvisorie, ma il cammino,
in questa direzione, è appena iniziato. Torna
su
(scarica
il progetto formato rtf)
<
Indietro