La struttura e la cornice di Le città invisibili

Ulises Wensell, To the king's Health, 1990

Prima edizione: 1972, Einaudi, Torino.

Il libro è stato scritto ad intervalli di tempo anche molto lunghi.

La struttura dell’opera è costituita da nove brevi capitoli tra i quali sono divise le descrizioni di cinquantacinque città diverse a seconda dei temi di cui trattano: la memoria, il desiderio, i segni... che si intrecciano e si alternano con un ritmo simile a quello della rima incatenata.

Alcune categorie di città rispecchiano un aspetto della vita umana, così che attraverso le descrizioni stesse si impara a conoscere più a fondo l’animo umano. In molte descrizioni è presente una conclusione che può essere interpretata come una morale; per esempio, nella città Zirma, appartenente alla categoria "le città e i segni", il monito è che la memoria è ridondante: ripete i segni perchè la città cominci ad esistere.

Il narratore in questo libro si sdoppia in due, rispettivamente di primo e di secondo grado, così da dare una distanza critica al lettore rispetto a ciò che viene detto.

Una chiave di interpretazione di questo libro si trova infatti nella cornice esterna, dove sono presenti la voce del narratore di primo grado e i dialoghi tra Marco Polo e Kublai Kan da lui introdotti. Questi ultimi, che costituiscono delle scene, sono molto affascinanti sia dal punto di vista del linguaggio usato, che da quello degli argomenti trattati. Il linguaggio adottato dall’ambasciatore è forbito e ricco di termini specifici che contribuiscono da un lato a rendere verosimili le descrizioni delle città, dall’altro, a suggerire un’atmosfera esotica.

All’inizio Marco Polo non parla la lingua dell’imperatore, così è costretto ad utilizzare la mimica facciale e corporea e ad esprimersi a gesti e con oggetti. In questo modo, dice le cose indispensabili, però ciò che fa o che mostra può essere frainteso; Kublai Kan deve indovinare ciò che Marco vuole comunicargli, ma rimane un mistero se quello che egli capisce è ciò che l’altro vuole dirgli o è ciò che lui vuole veramente sentire. In seguito Polo, impratichendosi della lingua, comincia a fare descrizioni dettagliate e precise, però man mano che parla, torna al precedente modo di esprimersi. Riprende i gesti e gli oggetti necessari a descrizioni essenziali ed ambigue.Josef Palecck, The Nightingale

I dialoghi servono per introdurre le descrizioni delle città in cui Marco Polo ha viaggiato e che costituiscono il corpo centrale del libro. Kublai Kan è infatti desideroso di scoprire e conoscere le meraviglie del suo impero a lui sconosciute; Marco Polo dal canto suo fornisce all’imperatore le informazioni che desidera, sempre con l’intento di capire e di spiegare le ragioni che hanno portato gli uomini a vivere in quelle città così diverse. Le sue descrizioni, tuttavia, si basano sempre sul ricordo della sua città natale: Venezia.

È difficile stabilire l’ambientazione del dialogo tra Kublai Kan e Marco Polo: si direbbe infatti con sicurezza che essi si trovano nel giardino pensile del palazzo pieno di arazzi e pietre preziose, ma i due lo mettono in dubbio e lo fanno apparire un luogo ideale. L’imperatore si chiede quando Marco Polo abbia compiuto quei viaggi, se sia sempre rimasto lì ed egli stesso ha il dubbio di essere in guerra; così i due concludono che forse quel giardino è lo spazio della mente in cui riflettono, un luogo unico al mondo dove si incontrano momentaneamente.

Anche il tempo, come lo spazio è indeterminato, entrambi i narratori usano infatti tempi che hanno l’aspetto verbale della durata: presente ed imperfetto. Per questo il tempo non si sviluppa e assieme all’assenza di indicazioni temporali, contribuisce a dare un aspetto infinito alle tematiche delle città: la città è un presente indeterminato.

(Eva Bastoni, Chiara Biondi, Alice Toderi)

Da ITALO CALVINO, Le città invisibili, Oscar Mondadori, Milano 1993