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La ripresina c'è, ma non per tutti

La fiducia di famiglie e imprese, i consumi, le esportazioni, l'occupazione, gli investimenti, il leggero miglioramento delle situazioni di "grave deprivazione materiale". Dopo anni di rilevazioni drammatiche, l'ultimo Rapporto Istat presentato come sempre a fine maggio, mostra un paese che già dagli ultimi mesi dell'anno scorso sta emergendo faticosamente dalla crisi. Certo i segnali sono deboli, e non uniformi: gli occupati nel 2014 sono cresciuti dello 0,4 per cento, 88mila in più, ma i livelli precrisi sono ancora molto lontani, e la disoccupazione di lunga durata ha un'incidenza del 60 per cento sul totale dei senza lavoro, con tempi di ricerca che arrivano a due anni.

"Per il 2015, gli indicatori delineano prospettive positive in Italia e nel complesso dell'Unione europea", dice il presidente dell'Istat Giorgio Alleva, che però sottolinea il crescente divario tra Centro-Nord e Sud come problema centrale per lo sviluppo, che se non affrontato non potrà non penalizzare l'intero paese.

Dopo la forte contrazione del 2012 e 2013 (rispettivamente del 2,8% e dell'1,7%), il Pil italiano ha segnato nel 2014 una ulteriore riduzione, anche se contenuta, dello 0,4%. Tuttavia, nel corso dell'anno si è registrato un progresso che ha portato l'ultimo trimestre in pareggio, e nel primo periodo del 2015, secondo la stima preliminare, si è tornati a risalire (+0,3%) dopo cinque trimestri di variazioni negative o nulle.

Tra i dati positivi, per la prima volta dal 2008 il potere di acquisto delle famiglie nel 2014 si è stabilizzato, e i consumi sono cresciuti dello 0,3 per cento, con un calo delle situazioni di grave disagio soprattutto tra le coppie senza figli o con un figlio, e tra gli anziani.

Le imprese rimangono molto piccole, con una dimensione media di 3,9 addetti che ci fa rimanere agli ultimi posti in Europa, però il 2014 è stato caratterizzato comunque da segnali di ripresa: un'impresa con almeno 20 addetti su due del settore manifatturiero ha aumentato il fatturato totale di almeno lo 0,8 per cento.

L'occupazione è tornata a crescere già nel 2014: 88 mila occupati in più rispetto al 2013, +0,4%. Ma il recupero sui concentra su specifiche categorie: i lavoratori ultracinquantenni (per effetto delle riforme previdenziali, che hanno allontanato l'età della pensione), gli stranieri e le donne. Il recupero di posti di lavoro si è concentrato soprattutto nell'industria, 61.000, l'1,4 per cento in più, a fronte di un'ulteriore erosione nelle costruzioni e, in misura minore, in agricoltura.

Il calo consistente prima e la modesta ripresa dopo hanno un po' modificato la mappa delle professioni in Italia. Tra i gruppi professionali sono diminuiti soprattutto operai e artigiani, e tra le professioni qualificate sono scesi dirigenti, imprenditori e tecnici, mentre sono aumentate le professioni intellettuali e di elevata specializzazione. Oltre un terzo delle imprese manifatturiere e quasi il 40 per cento di quelle dei servizi ha assunto una quota rilevante (più del 30 per cento) di personale con elevata qualifica professionale. Il titolo di studio continua a costituire sul mercato del lavoro un vantaggio notevole: nel 2014 il tasso di disoccupazione dei laureati è all'8% per cento, quasi nove punti in meno rispetto a quello di chi possiede la licenza media.

L'inizio di ripresa migliora solo leggermente una situazione che rimane ancora negativa. Continua a crescere la disoccupazione di lunga durata, la cui incidenza sul totale supera il 60 per cento: nel 2014 chi è alla ricerca di occupazione lo è in media da 24 mesi, e se è alla ricerca del primo impiego da 34 . Ma non solo la disoccupazione è definita "una trappola da cui è difficile uscire"; anche il lavoro atipico tende a diventare una condizione stabile, con oltre mezzo milione di precari che svolge lo stesso lavoro da almeno 5 anni. Questa situazione porta scoraggiamento: nel 2014 gli inattivi arrivano a 1,6 milioni, 627.000 in più rispetto al 2008.

La crisi ha accentuato l'uso del part-time, non come forma di flessibilità, ma come forma di sottoccupazione. Tra il 2008 e il 2014 l'incremento complessivo del part-time è di 784.000 unità, pari al 23,7 per cento in più. Si stima che il 63,3 per cento sia part-time involontario. Nel 2014 i lavoratori a tempo parziale hanno superato i quattro milioni.

Preoccupano anche le stime sul lavoro irregolare, calcolate con la nuova metodologia Esa 2010: il dato riferito al 2012 è del 12,6% degli occupati, con punte particolarmente alte in agricoltura, nell'edilizia, nel settore degli alberghi e dei pubblici esercizi e nel lavoro domestico dove gli irregolari superano il 50%.

Sono i giovani a pagare il prezzo più salato di sei anni di crisi. Tra il 2008 e il 2014 sono spariti quasi 2 milioni di lavoratori under 35 (-27,7 per cento) a fronte di un calo della popolazione nella stessa fascia di età di 947mila (-6,8 per cento). In sei anni il tasso di occupazione degli under 35 è sceso di 11,3 punti percentuali al 39,1 per cento l'anno scorso anche se la contrazione dell'indicatore si è decisamente attenuata (-0,8 punti percentuali) nel 2014 fino ad invertire la tendenza nel quarto trimestre (+0,3 punti).

Il tasso d'occupazione delle donne continua a essere molto basso, al di sotto del 47 per cento, quasi 13 punti in meno della media europea: e questo nonostante un modesto incremento degli ultimi anni, dovuto per lo più all'apporto di donne straniere nei lavori di cura e di anziane bloccate dalla riforma pensionistica. Si conferma però la tendenza all'aumento delle famiglie con donne 'breadwinner', ovvero quelle in cui la donna è l'unica ad essere occupata: sono il 12,9% delle famiglie, con almeno un componente 15-64 anni (erano il 9,4% nel 2008).

Il rapporto evidenzia anche il numero di genitori senza lavoro: sono più di un milione le persone tra i 25 e i 64 anni che hanno figli e sono disoccupate.

La fuga dei cervelli (definita come "mobilità intellettuale") è in crescita. Tremila dottori di ricerca del 2008 e 2010 (il 12,9%) vivono abitualmente all'estero, e la mobilità verso l'estero è superiore di quasi 6 punti a quella della precedente indagine, soprattutto tra fisici, matematici e informatici.

Come sempre, la valutazione sui dati varia a seconda del punto di vista. Il confronto con gli altri paesi è purtroppo l'aspetto meno positivo: in Europa l'occupazione è tornata ai livelli prima della crisi, mentre in Italia siamo sotto di tre punti rispetto al 2008 e di quasi dieci punti rispetto alla media europea. In sostanza, per raggiungere il livello  europeo dovremmo creare tre milioni e mezzo di posti di lavoro. Quindi, bene la ripresa, ma occorre un ritmo diverso e soprattutto più omogeneo: tra i territori, tra i generi, tra le fasce di età.

Il rapporto Istat 2015

 

Ultimo aggiornamento: lunedì 25 maggio 2015