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I 7 anni peggiori per il lavoro

Il Rapporto sul mercato del Lavoro 2013-2014 del CNEL, Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, è stato presentato il 30 settembre, contemporaneamente all'ultima rilevazione Istat che ha certificato il massimo storico raggiunto dalla disoccupazione giovanile, salita al 44,2% tra gli under 24 alla fine di agosto, il dato più alto a partire dal 1977, anche se mitigato dal lievissimo incremento dell'occupazione nel suo insieme (+0,1% sempre a fine agosto).

ll Rapporto del CNEL, coordinato da Tiziano Treu, a differenza delle indagini tradizionali, non si sofferma tanto sul confronto tra indicatori misurati anno per anno, ma tenta di offrire una fotografia ragionata dell'intero periodo della crisi che sta attraversando l'Italia, con l'ambizione di fornire indicazioni politiche di carattere strutturale.

Il dato di partenza è che si tratta della crisi più pesante dal dopoguerra, per intensità, estensione e durata. In sette anni, il paese ha perso circa 1 milione e 200mila posti di lavoro. Questa tempesta non si è abbattuta sul nostro paese in modo uniforme: sono cresciute le disuguaglianze territoriali, settoriali, generazionali, nei livelli di istruzione e per nazionalità.
In sintesi:
- gli occupati sono scesi al Nord del 2,3%, al Centro dell'1,3 e al Sud del 12%, ovvero, in termini assoluti, di 600mila unità nelle regioni meridionali, e poco più di 400mila nel resto d'Italia
- il settore delle costruzioni ha perso un quarto degli occupati, l'industria il 9% e i servizi solo l'1,2%
- i lavoratori occupati italiani sono scesi dell'8,4% mentre gli occupati stranieri sono saliti del 39%
- tra i laureati, i nuovi inserimenti sono maggiori delle uscite (+12%), mentre tra i senza titolo il saldo negativo è del 44%
- i lavoratori maturi (tra i 55 e i 64 anni) hanno avuto un aumento del tasso di occupazione, per effetto dell'innalzamento dell'età pensionistica, mentre in tutte le altre fasce di età si è registrata una diminuzione dei posti di lavoro; nella fascia sotto i 30 anni gli occupati sono scesi dal 40% all'attuale 29%; nel solo ultimo anno si rileva l'aumento dei giovani NEET dal 19 al 26% della popolazione tra 15 e 29 anni.

Questi divari si riproducono a livello internazionale, penalizzando l'Europa rispetto al resto del mondo e l'Italia rispetto alla maggioranza degli stati europei.
Il tasso di disoccupazione è inizialmente cresciuto in modo omogeneo tra i paesi sviluppati toccando il 10,5% nel 2009 e poi, tracciando due traiettorie opposte, è sceso al 6,3% negli Stati Uniti e salito all'11,5% nell'area euro. Ancora più marcate sono le divergenze occupazionali tra i paesi europei: la Germania durante la crisi aumenta di 2,5 milioni i propri posti di lavoro, seguita dall'Inghilterra con più 900 mila, mentre i paesi periferici perdono quote rilevanti di occupazione: -3,3 milioni la Spagna, -1,2 l'Italia e -1,1 la Grecia (che ha triplicato i propri disoccupati).

Le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro spingono un numero crescente di giovani a considerare la prospettiva dell'emigrazione, soprattutto fra i più scolarizzati che, oltre alle diverse chances occupazionali, avvertono l'attrazione di gap salariali ampi: nel 2012 hanno lasciato l'Italia oltre 26 mila giovani italiani tra i 15 e i 34 anni, 10 mila in più rispetto al 2008. Ma "una struttura occupazionale che invecchia - si legge nel rapporto - ha anche effetti deleteri sull'evoluzione della produttività" perchè "frena il cambiamento tecnologico, l'innovazione, e si riflette in maniera sfavorevole sulla posizione competitiva delle imprese".

Questo settennato di crisi conferma alcune strutturali carenze nel creare e valorizzare le competenze, sia nel sistema economico che in quello scolastico. Ciò appare con evidenza guardando ai livelli di istruzione della popolazione, ma anche in riferimento all'impiego di capitale umano da parte delle imprese. Solo il 20% degli occupati in Italia possiede titoli universitari contro il 43% del Regno Unito e il 33% della media UE. In Italia crescono gli occupati a bassa specializzazione (+3% nel periodo 2007/2011) che invece stanno calando nella media europea. Gli investimenti italiani in ricerca (1,27% del Pil), sono quasi la metà rispetto alla media comunitaria (2,08%). Un altro aspetto critico, definito dal prof. Treu "una zavorra" per la nostra produttività è costituito dal cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro, che è tra i più alti dell'area Ocse.

Altra peculiarità italiana è l'ormai consolidato dualismo del mercato del lavoro. Tra gli avviamenti, i lavori a termine sono il 70%, i rapporti a tempo indeterminato si fermano al 15%, mentre le altre forme contrattuali precarie (contratti a progetto, lavoro intermittente) sono in discesa per effetto della riforma Fornero. Ma l'elemento che differenzia il nostro paese non è la quantità dei contratti a termine, bensì la permanenza prolungata in questa condizione di instabilità: solo il 25% dei contratti a tempo determinato viene in Italia trasformato in tempo indeterminato nell'arco di due anni, mentre in Europa i dati sono attorno al 50%.
Connesso alla precarietà è il fenomeno dei 'working poor' , ovvero dei lavoratori a basso salario e quindi a rischio povertà, stimati in oltre 3 milioni: questa situazione, da periodo transitorio in cui si accettano condizioni sfavorevoli per entrare nel mondo del lavoro si trasforma in una condizione permanente, una "trappola della povertà", in cui non vi è un percorso verso la stabilizzazione del rapporto di lavoro e una maggiore indipendenza economica. Anche la cosiddetta 'in-work poverty' (famiglie in gravi difficoltà economiche nonstante uno o più componenti abbiano un lavoro) si sta estendendo a fasce sociali e di istruzione un tempo solide, e interessa ormai un decimo della popolazione nazionale.

Il Rapporto prende in esame anche il sistema dei servizi per l'impiego notando come l'Italia nel confronto comparato con altri paesi europei "soffre in misura maggiore per la prevalenza dei canali informali nella ricerca del lavoro" messa in risalto anche dal recente rapporto Excelsior. "La gracilità della rete italiana nel suo complesso - afferma il documento del CNEL - rende l'implementazione del programma comunitario della Garanzia Giovani una sfida particolarmente ardua, anche stante le caratteristiche specifiche del potenziale bacino d'utenza del programma in Italia". Gli anni della crisi hanno ulteriormente aumentato il gap tra politiche del lavoro attive e passive: tra il 2007 e il 2012, la spesa totale è pressoché raddoppiata per l'ampio ricorso agli ammortizzatori sociali, e l'incidenza percentuale delle politiche attive si è dimezzata.

La sintesi di questi sette anni è un quadro di tendenziale peggioramento, a ritmi alternati, che solo nel 2013 ha mostrato una stabilizzazione del mercato del lavoro. Le tendenze in atto suggeriscono quindi che i tempi della svolta potrebbero essere lunghi anche nel caso di una ripresa economica, e che sarà molto difficile tornare ai livelli occupazionali precedenti la crisi.

Il testo del rapporto

 

Ultimo aggiornamento: venerdì 24 ottobre 2014