IL MONUMENTO DI MONTE SABBIUNO
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In questa zona, come ad Anzola, i nazisti e fascisti bruciarono case, fecero razzie di animali, rubarono cibo e vestiti. Il rastrellamento continuò, poi, nei giorni successivi per permettere la cattura dei “ribelli” passati tra le maglie della rete e di coloro che avevano aiutato i partigiani.
Prima di essere condotti a Bologna, i rastrellati vennero
concentrati nelle scuole, nei cinema, nelle caserme e nelle carceri locali dove i partigiani furono separati dagli altri, tenuti senza mangiare per giorni, picchiati, interrogati.
La prima tappa in città fu per molti il comando delle SS nella caserma di Santa Chiara, quindi il carcere di San Giovanni in Monte dove parte dei rastrellati di Amola e Anzola vennero rilasciati dopo i primi controlli. Per gli altri incominciarono gli interrogatori, le sofferenze, le torture, la paura. Il carcere bolognese, già assaltato ed espugnato nei mesi precedenti, non era però considerato sicuro ed era, ora, sovraffollato, visto che con i rastrellamenti i fascisti e i nazisti avevano catturato un notevole numero di partigiani. Questa situazione, unita all’inasprirsi della lotta antipartigiana, portò a far decidere per l’eliminazione fisica, per gruppi, dei resistenti imprigionati.
Ecco quindi che i due trasferimenti del 14 e 23 dicembre condussero i prigionieri alla morte a Sabbiuno. Con il primo gruppo vennero fucilati quelli che erano considerati più pericolosi, i gappisti più noti, quelli che avevano partecipato alla battaglia di Porta Lame. Il 22 dicembre molti incarcerati vennero avviati, nei carri bestiame, verso il Brennero e di lì verso Mauthausen-Gusen da dove molti di loro non tornarono; il giorno successivo ,il 23, un altro gruppo venne portato a Sabbiuno. Di qui in poi cadde il silenzio, nemmeno i familiari furono informati della sorte dei loro congiunti.

 
 



Nel dopo guerra le salme furono rinvenute in parte ammucchiate lungo il calanco (verosimilmente quelle delle due stragi), in parte isolate (le fucilazioni continuarono infatti anche dopo il dicembre). Complessivamente vennero ritrovati resti di partigiani
fucilati in cinque diverse località della zona di Sabbiuno. Dopo
l’esumazione, nel cimitero cittadino furono composte e registrate 47 salme riconosciute e 8 sconosciute. Il numero reale di caduti è difficile da stabilire, molti corpi vennero trascinati a valle dall’acqua o definitivamente sepolti dagli smottamenti, questo spiega perché, nel monumento inaugurato il 2 giugno 1973, venne simbolicamente indicato con 100 il numero dei morti. In questa prospettiva non si può, evidentemente, né confermare né confutare la cifra indicata, ma per quello che è stato possibile, si è tentato di ricostruire una lista di nomi.
Nella lapide del monumento di Sabbiuno i riconosciuti sono 53, ma in quell’elenco erano stati inseriti 4 partigiani uccisi a San Ruffillo quasi a riprova di quanto sia stato intricato il rapporto fra le stragi bolognesi dell’inverno e della primavera 1944-45. Tolti questi ultimi, ai nomi della lapide ne vanno aggiunti altri 5. Se tentare una precisa ricostruzione della lista delle persone uccise a Sabbiuno è importante, altrettanto lo è sottrarre questi eccidi alla marginalità nella quale parevano.
Anche questo può essere uno dei significati di Sabbiuno che è un suggestivo luogo della memoria straordinariamente, violentemente legato alle stragi che vi si compirono, anche per la natura dei luoghi che si fa all’improvviso così aspra, così diversa dalle colline che li precedono; luoghi di per sé scolpiti in un modo così tragico che sembrano essi stessi il monumento reale di quei morti.

 

 

   
 
 

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SACRARIO AI CADUTI DELLA RESISTENZA NEL PARCO COLLINARE