IL LABIRINTO NEL MEDIOEVO

 

Il LABIRINTO è stato un simbolo vivo per millenni, lo è ancora oggi. Ogni età ha attribuito a tale costruzione un significato e lo ha utilizzato nei modi più diversi.

Il concetto di labirinto si definì attraverso due differenti generi di fonti letterarie dell'Antichità: da una parte il mito del labirinto costruito da Dedalo per il Re cretese Minosse e abitato dal mostruoso Minotauro, dall'altra i resoconti tramandati dagli storici e geografi sui quattro l. che si diceva fossero realmente esistiti in Egitto, a Creta, a Lemno e a Chiusi. Rimase dunque viva nell'età medievale l'idea di un edificio dalla pianta complicata e artificiosa, un palazzo in cui i corridoi e le stanze si susseguissero e si intersecassero creando un groviglio di spazi capace di far perdere completamente l'orientamento rendendo difficile l'accesso e quasi impossibile l'uscita.

Il carattere prodigioso e allo stesso tempo spaventoso connaturato a un simile edificio generò due linee molto differenti di interpretazione in senso morale del labirinto. Esso può essere infatti interpretato come simbolo delle potenzialità dell'artista (o del Creatore) nel progettare architetture di inarrivabile complessità, o viceversa, sulla scorta dei connotati palesemente negativi della storia del Minotauro, può tramutarsi in emblema del mondo terreno, del peccato, del vizio, dell'eresia, della morte. Questa interpretazione in negativo fu largamente prevalente nel Medioevo, tanto da fare del labirinto non solo un generico emblema del peccato generato da confusione mentale e morale, ma anche il simbolo di alcuni più specifici aspetti del male; così, per es., Giovanni Boccaccio nel Corbaccio materializzò le insidie del falso amore in un 'laberinto d'amore' oscuro e abitato da fiere, mentre Francesco Petrarca (Sine nomine) apostrofò la corrotta Avignone papale come terza Babilonia e, appunto, quinto labirinto. Al labirinto come segno di peccato e morte si lega comunque anche una simbologia di riscatto e risurrezione: la letteratura patristica interpretò infatti il mito cretese in termini cristologici, creando un parallelo tra Teseo che sconfigge il Minotauro portando con sé fuori del labirinto le giovani vittime ateniesi e Cristo che vince Satana e risorge liberando l'umanità dal peccato originale.

L'iconografia medievale del labirinto derivò direttamente, con pochissime varianti, da un prototipo dell'Antichità che ebbe forse origine nella Creta minoica per poi diffondersi rapidamente e capillarmente nel bacino mediterraneo, nell'Europa settentrionale e verso Oriente. Solo nel mondo romano prevalse un altro e più complesso tipo di labirinto frequentemente utilizzato nelle decorazioni pavimentali a mosaico ma che non ebbe alcun seguito dopo il IV secolo. L'archetipo minoico, detto appunto cretese, ha forma circolare o quadrata ed è caratterizzato da un unico corridoio che raggiunge il centro della struttura dopo essersi snodato in sette spire; il percorso all'interno di questo tipo di labirinto ha un andamento che oscilla continuamente tra la zona centrale e la periferia della struttura. Nel sec. IX il tipo cretese venne modificato nel tipo Otfrid. Si tratta di un tipo di labirinto che amplia il modello cretese aggiungendo quattro spire alle sette in cui si snoda il corridoio; il senso di questa modifica si spiega probabilmente con l'esigenza di ribadire attraverso il numero undici emblema di errore, incompiutezza e imperfezione la connotazione negativa del labirinto. Al contrario, il successivo tipo detto di Chartres, dal grande labirinto pavimentale della cattedrale francese, è caratterizzato da una struttura che suggerisce una simbologia cristologica: anch'esso ha undici spire, ma il percorso è modificato in modo che le linee che segnano in pianta l'andamento del corridoio suggeriscano l'immagine di una croce in scritta in un cerchio o in un poligono.

Derivate dunque tutte dal prototipo cretese, le tipologie del labirinto medievale hanno la caratteristica di essere rigorosamente unicursali, sono costruite cioè sulla base di un percorso obbligato, una sola via che collega l'ingresso al centro della struttura seguendo un andamento assai tortuoso ma privo di bivi o vicoli ciechi. Non si tratta dunque di labirinti  inestricabili e irresolubili come vorrebbe la tradizione letteraria, ma di architetture dalle quali si esce, o si raggiunge il centro, semplicemente seguendo passivamente e con costanza le evoluzioni apparentemente illogiche dell'unico corridoio; nel Medioevo si preferì dunque mantenere questa contraddizione tra i labirinti letterari e quelli figurati pur di proporre un'immagine nobilitata dall'antichità e immutabilità del prototipo cretese. La contraddizione è del resto superabile se si immagina l'esperienza soggettiva di un visitatore in questi labirinti medievali, nei quali il movimento pendolare del corridoio porta inevitabilmente alla perdita dell'orientamento e a una sensazione di confusione e smarrimento. Il modello unicursale permette inoltre di fare del labirinto una metafora del percorso della vita del fedele come iter tortuoso e insondabile ma ineluttabilmente preordinato in ogni suo passaggio.

L'immagine del labirinto a molte vie, con bivi e vicoli ciechi (l. multicursale), nacque solo dopo la metà del sec. XI, figlia dell'esigenza di ricostruire filologicamente l'aspetto dei labirinti antichi e di una più generale disposizione culturale a valorizzare il momento della scelta individuale nella vita dell'uomo.

L'iconografia medievale del labirinto si sviluppò soprattutto nelle illustrazioni di manoscritti, in particolare a corredo di trattazioni a carattere enciclopedico (per es. il Lib.er floridus di Lamberto di Saint-Omer o il De Universo di Rabano Mauro), di compilazioni di tipo storico-topografico (per es. la Chronologia magna di fra Paolino Minorita) e in carte geografiche a segnare la posizione della città di Cnosso (per es. nel mappamondo duecentesco conservato nella cattedrale di Hereford). Diversi l. si trovano poi raffigurati in manoscritti contenenti il computo della data della Pasqua, utilizzati come riferimento simbolico alla redenzione e, forse, alla complessità stessa del calcolo astronomico. Altri labirinti  illustrano copie del De consolazone philosophiae di Boezio; in questo caso l'immagine del l. va collegata a un passo del testo in cui la labirintica complicazione del ragionamento filosofico viene contrapposta alla semplicità divina.

In alcuni manoscritti ebraici, il tipico tracciato a sette spire del l. cretese circolare venne utilizzato per visualizzare la cinta muraria della città di Gerico attorno alla quale l'esercito di Giosuè, secondo il racconto biblico (Gs. 6, 12-16), compie sette giri propiziatori prima del crollo delle mura e della conquista della città. Anche in ambito cristiano Gerico venne associata alla figura del labirinto, ma non sono più solo le mura a essere raffigurate in forma labirintica, bensì l'intera città. Il rapporto allegorico tra labirinto e città fa in generale riferimento a una simbologia di inviolabilità che ha la sua origine nel rito del Troiae lusus, una danza a percorso labirintico diffusa nel mondo romano come rito iniziatico, ma celebrata anche in senso apotropaico in occasione della fondazione di città, attorno alle quali venivano così simbolicamente tracciate delle mura impenetrabili. Non solo Gerico dunque, ma anche altre città possono essere associate alla figura del labirinto, come Costantinopoli, per es. in un manoscritto arabo (Leida, Bibl. der. Rijksuniv., Or. 512, p. 551), o Troia, dai cui giochi rituali si riteneva derivasse la danza romana.

Oltre che nelle illustrazioni di manoscritti, o in rari rilievi in pietra (per es. il piccolo l. scolpito nell'esonartece del il Duomo di Lucca), i labirinti compaiono in forma monumentale, a partire dal sec. 12°, nella decorazione pavimentale di alcune chiese del Nord della Francia. Il grande labirinto della cattedrale di Amiens e quello di Reims, entrambi della fine del sec. XII, forniscono una chiave interpretativa della funzione dei labirinti  pavimentali all'interno delle chiese francesi. Si sa infatti che i labirinto in questione erano corredati dalle raffigurazioni degli architetti delle due cattedrali e dei loro 'committenti per instaurare così un paragone tra l'opera architettonica dei nuovi artefici e quella, leggendaria, del portentoso labirinto di Dedalo. A questa originaria simbologia celebrativa dell'abilità progettuale e costruttiva degli architetti si sovrappone un uso liturgico dei labirinti pavimentali francesi documentato per i perduti labirinti delle cattedrali di Auxerre e Sens; su di essi infatti, durante il periodo pasquale, si celebravano danze e giochi organizzati secondo un preciso rituale che alludeva alla risurrezione e alla vittoria di Cristo sul peccato.

Il legame del labirinto con la simbologia pasquale è del resto confermato anche dalla sua raffigurazione in manoscritti contenenti i computi della Pasqua, così come la forma ottagonale di alcuni dei l. pavimentali francesi (Amiens, Arras, Reims) richiama, analogamente a quella di battisteri e fonti battesimali, il concetto di morte e risurrezione.

Solo due, ma importanti per le loro connotazioni simboliche, sono i l. pavimentali a mosaico ecclesiastici di cui si ha notizia in Italia. Nel mosaico pavimentale della prima metà del sec. XII di S. Michele Maggiore a Pavia (quasi completamente perduto ma ricostruibile attraverso un disegno cinquecentesco; Roma, BA V, Barb. lat. 4426, c. 35r), la raffigurazione di Teseo vincitore sul Minotauro all'interno di un grande labirinto del tipo di Chartres era accostata all'immagine di Davide che sconfigge Golia, creando così un doppio riferimento, mediante le figure di Davide e Teseo, al Cristo e alla sua vittoriosa battaglia contro Satana. Nel perduto mosaico di S. Savino a Piacenza, anch'esso del sec. XII, il labirinto era accompagnato da una iscrizione che ne esplicitava il significato negativo paragonano dolo al mondo, largo per chi vi entra ma stretto per chi tenta di liberarsi dai vizi per uscirne

 «<Hunc mundum tipice laberinthus denotat iste 
 intranti largus, redeunti set nimis artus
sic mundo captus, viciorum mole gravatus
vix valet ad vite doctrinam quisque redire».

Nelle Isole Britanniche, assenti il. pavimentali, era diffusa la particolare tipologia dei labirinti tracciati su prato (maze), documentata almeno dal sec. XIV; anche questi l. erano con tUtta probabilità utilizzati per danze e giochi legati a festività religiose, come suggeriscono la prevalenza del disegno cristianizzato del tipo di Chartres e la loro frequente presenza in prossimità di chiese. Nei paesi scandinavi erano invece caratteristici grandi labirinti disegnati sul terreno con file di pietre (Trojaburg), quasi esclusivamente del tipo 'cretese', per i quali rimangono ancora da chiarire tanto l'epoca di realizzazione quanto l'originaria funzione.

(Mannello Alessandro, 4^A)