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Paolo Bernardi

LA GIORNATA DELLA MEMORIA
Relazione introduttiva dell'incontro con gli studenti al Teatro di Budrio


"… spinto dalla sete, ho adocchiato, fuori di una finestra, un bel ghiacciolo a portata di mano. Ho aperto la finestra, ho staccato il ghiacciolo, ma subito si è fatto avanti uno grande e grosso che si aggirava là fuori, e me lo ha strappato brutalmente.
- Warum? - gli ho chiesto, nel mio povero tedesco.
- Hier ist kein Warum - (qui non c'è perché) mi ha risposto, ricacciandomi indietro con uno spintone"
P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi

Questa citazione da P. Levi sintetizza molto bene, secondo me, il problema che noi tutti (insegnanti ed alunni) ci troviamo di fronte quando, a tutti livelli, affrontiamo in un contesto scolastico il tema della shoah: è possibile insegnare (e quindi far comprendere) l'incomprensibile?
E' possibile applicare la ricerca dei "perché" (quella che noi insegnanti di storia non ci stanchiamo mai di indicare ai nostri alunni come la chiave necessaria per aprire le porte della conoscenza storica), ad un luogo dove, come indica bene l'episodio raccontato da Levi, "non c'è perché".
E' possibile studiare, e di conseguenza insegnare, Auschwitz, la deportazione, lo sterminio, alla stregua degli altri eventi storici?

Se non sgombriamo il campo da questo dubbio c'è il pericolo che anche l'insegnante, e di conseguenza l'alunno, più motivato finisca per recedere di fronte ad un compito che appare del tutto sproporzionato rispetto alle sue forze.

Ma se, da una parte, dobbiamo e possiamo trasmettere l'idea che A. è stato un fenomeno inesplicabile ed incomprensibile, allo stesso tempo dobbiamo essere in grado di enunciare tutto il complesso delle interpretazioni e delle spiegazioni che sono state proposte, altrimenti siamo condannati ad insegnare la shoah in modo dogmatico, assoluto, mitico e "monumentale", con il risultato che si può essere certi che ne scaturirà una violenta reazione contro quella che verrà percepita come una storia "ufficiale", celebrativa.

E' con questo spirito, quindi, che vi invito a leggere assieme alla nostra narratrice, i brani di questo recital: il loro scopo è sì quello di emozionarvi, come sicuramente vi hanno emozionato le parole della signora Cohen di poco fa, ma anche quello di darvi una motivazione a studiare la shoah, e a cercare di comprenderla.

Se infatti ci fermassimo all'emozione ed alla commozione, non avremmo fatto un buon servizio alla storia. Per fare storia occorre tentare di capire, pur partendo dal presupposto che, a volte, è impossibile capire tutto.

Capire le cause
Il primo brano che la nostra narratrice ha scelto, e che apre il recital, appartiene al Mein Kampf di Adolf Hitler, ed enuncia uno dei principi della teoria del razzismo nazista, tanto più odioso in quanto applicato ai bambini.

Ebbene, ancora una volta per capire è necessario andare alle radici del fenomeno: se è vero che il razzismo antisemita (e non solo) di H. e del Nazismo è stato un fenomeno probabilmente di enorme e scientifica violenza ed abiezione, non bisogna però dimenticare che rappresentò l'ultimo atto di una lunghissima storia di persecuzioni contro gli ebrei e contro altre categorie di diversi (eretici, zingari, testimoni di Geova, omossessuali), che coinvolsero, per molti secoli ed in particolare nell'800, quasi tutti i paesi d'Europa. E quando i nazisti mostrarono al mondo, dopo il '33, che era possibile perseguitare gli ebrei senza incontrare resistenze, né da parte delle stesse vittime, né da parte dell'opinione pubblica internazionale, compresa quella dei paesi "democratici", furono molti gli stati (compresa l'Italia fascista) che si decisero ad adottare legislazioni razziali.
Dire questo non toglie nessuna responsabilità al nazismo, ma ci permette di riconoscere che il razzismo non fu l'esclusiva di un popolo o di un momento storico, e se non lo fu nel passato, potrebbe non esserlo anche per il futuro.

Capire la violenza
La seconda sezione delle letture che vengono presentate stamattina, contiene brani, in particolare quelli tratti dall'Istruttoria di Peter Weiss, che hanno come argomento la violenza fisica nei campi di sterminio.
Forse la violenza e la sofferenza di Auschwitz sono incomprensibili ed incomparabili, ma stiamo attenti al rischio di fare del nazismo il prototipo del male, di fronte al quale le mille, piccole o grandi, violenze di oggi sembrano sbiadite e, perciò, meno gravi. Non dimentichiamoci che viviamo in una società che, mentre bandisce la sola idea della violenza e della sofferenza, in realtà non perde occasione per spettacolarizzarla, e questo fatto, forse, rischia di anestetizzare la nostra sensibilità.

Capire l'annientamento
Infine quello che forse è il segno distintivo più forte dell'esperienza della shoah, della deportazione e dello sterminio, al quale sono dedicate le letture della parte conclusiva del recital: la costruzione di un sistema perfettamente efficiente di annientamento morale, prima che fisico, dell'individuo. Dalle ghettizzazioni alle deportazioni di massa, dalla costruzione dei campi alla loro scientifica gestione da parte delle SS, dallo sfruttamento della forza-lavoro servile all'utilizzo degli internati come cavie umane per la scienza, dall'applicazione della tecnologia alla morte ed allo sterminio alla minuziosa contabilità del calcolo costi/benefici di ogni campo.

Ed è questo, forse, il territorio più importante sul quale tentare il difficile esercizio di "capire l'incomprensibile": si è trattato di un evento eccezionale,irripetibile, del punto più basso dell'abiezione umana, di un "unicum" nella storia, oppure, più banalmente, si sono catalizzate, in una precisa situazione storica e sociale, inclinazioni del tutto "normali", ancorché mostruose, dell'umanità, innescate da cause contingenti ed individuabili.
L'irrazionalità dell'evento è coniugabile con una sua possibile spiegazione razionale?

Questa contraddizione e stata messa ben in evidenza ancora una volta da P. Levi quando da una parte rifiuta la possibilità di comprendere i nazisti (comprendere è per lui quasi giustificare), perché non è possibile per una persona normale identificarsi con loro, mentre dall'altra afferma che i nazisti erano "uomini qualunque".

Concludo, su quest'ultimo tema, con la testimonianza di Robert Antelme, ripresa da Silvio Paolucci nella sua introduzione ad volume "Le storie estreme e la storia. I racconti della shoah", che contiene gli atti di un corso di aggiornamento organizzato dall'ISREBO nell'a.s. 1997/98:

Siamo nel campo di lavoro di Gandersheim. E' domenica. Piove. I deportati francesi devono smontare pezzi di carlinga di aereo e spostare pesanti putrelle di ferro, sotto la sorveglianza di un "civile" tedesco, che Antelme descrive:
"Per tutta la mattina è rimasto con noi. Era vestito di scuro, sul panciotto gli pendeva una catena d'oro d'orologio; in testa aveva un cappello molle, grigio scuro come il vestito. La sua faccia era rosea come può esserlo quella di un uomo sulla cinquantina. Portava occhiali cerchiati d'oro. Odorava di casa vicina, di casa della domenica mattina, che certo conteneva specchi in cui poteva vedersi dalla testa ai piedi e di cui si era certo servito per farsi il nodo alla cravatta. "
Era un tedesco sorridente e soddisfatto….
"Ora, verso la metà della mattinata, mentre eravamo intenti a sollevare una putrella di ferro … eccolo precipitarsi bruscamente sul compagni che gli stava più vicino e appioppargli due pedate nelle reni. Poi, diventando tutto rosso, mettersi a urlare. Il compagno si era rialzato spostandosi di lato. Il civile non insistette. Gli occhiali gli erano leggermente scivolati, il suo viso era scarlatto. Appariva grottesco: non era abituato a dar pedate ed era grottesco. Aveva voluto giocare con noi alla SS. Non possiamo sapere se le prime due pedate gli erano costate, ma è certo che poi ci aveva preso gusto. Era certo che si sentiva un eroe, non solo come buon cittadino, ma un eroe per avere superato la barriera del suo corpo, per essersi esibito ed avere esercitato personalmente la sua forza. Perché apparentemente lui era il contrario delle SS. Era un dilettante, un timido che, dopo essersi macerato per due ore in silenzio, aveva finito per osare e gustare. Era un nazista vergine… Grazie a noisi era strappato di dosso la verginità: quella parvenza inoffensiva con gli occhiali d'oro".

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