Stefano Scalich
Osservazioni su «Secondo testamento»

Se è una bestemmia, ahimè, non è neppure la nostra peggiore.
Eugenio Montale, Visita a Fadin.

Accingersi a scrivere qualcosa sulla poesia di Eugenio Montale è un'operazione molto ardua perché introduce il rischio di aggiungere poco o nulla di nuovo a quanto già detto da molta critica.
Sarei già felice di poter arrivare ad un pur rispettabile poco.
È mia intenzione prendere qui in esame una poesia che compare nel Diario Postumo (Secondo testamento), mostrarne alcuni caratteri peculiari e quindi abbozzare alcuni possibili confronti con altri testi montaliani.
Ad una prima lettura il testo si presenta con la veste linguistica ormai consueta dopo Satura, tanto che lo stesso autore lo definisce un testamento "in bilico tra prosa e poesia".
In effetti questa osservazione d'autore è molto vera anche se l'uso dell'espressione in bilico ha una accezione negativa: maschera la reale tessitura della composizione che è invece giocata su una sottilissima trama di rispondenze interne.
Dunque non testamento "in bilico" semmai si dovrà parlare di testo "in equilibrio" e finemente bilanciato.
Farò qui alcuni esempi.
Questa poesia presenta ben cinque negazioni pressoché equidistanti l'una dall'altra. Anche l'ultima, che sembra sfuggire a questa logica, è comunque reintegrata all'interno del disegno armonioso poiché il termine "nulla" (v. 14) riprende circolarmente "niente" del v. 2. Del resto anche il verbo vivere nelle sue forme composte è presente agli estremi del testamento (vv. 3 e 16). Inoltre si nota un'alternanza nella disposizione dei tempi al presente e al passato (Non SO.../ Non scelsi.../ Ed ORA.../ Non vi è mai stato...).
Si può anche notare come il gruppo -OR si incastri nella trama delle suddette negazioni costituendo un ulteriore fuoco attorno a cui ruota il componimento.
Per quanto riguarda la metrica, basti notare che le sentenze conclusive di ogni periodo sono sempre dei settenari.
Non mi addentro qui nell'esame delle rime, delle quasi-rime, delle allitterazioni o delle assonanze, che certo rafforzerebbe la tesi già avanzata di un testo molto equilibrato.
Voglio invece soffermarmi su due testi con cui questa poesia può forse mettersi in relazione. Uno è ovviamente il Piccolo testamento1, chiamato in causa esplicitamente dal titolo. L'altro è la Lettera a Malvolio2 del Diario del '71, di cui Mengaldo ha già dimostrato il legame con il testamento della Bufera3.

Vediamo ora come il Secondo testamento riprende il precedente illustre.
1. Torna il termine chiave "memoria" (PT v. 23), che in ST diventa "ricordo" (ST v. 15).
2. Sono presenti in tutte e due le poesie parole con prefisso -RI. 3. Alcuni termini vengono ripresi quasi per intero: "comBATTUTA" (PT v. 10) > "BATTUTA" (ST v. 9); "TESTiMonianza" (PT v. 9) > "TESTaMento" (ST v. 1).
4. I due componimenti fanno uso di vocaboli composti. PT: semi/mozze (vv. 18-19), portafortuna (v. 20); ST: sopravvive (v. 3), parapiglia (v. 13), aldilà (v. 17).
5. In PT si alludeva alla persistenza di cose minime, "piccole" appunto: traccia (v. 3) e tenue bagliore (v. 29) trovano i propri analoghi nei termini brandello, parte (v. 6), e nel niente di ciò che sopravvive (v. 2)
6. Può sembrare significativa la ripresa più o meno precisa di alcune rime.
PT -enti (v. 6) > ST -ento (v. 1) ed -ente (v. 2)
PT -anza (v. 9) > ST -enza (vv. 5 e 7)
PT -arti (v. 26) > ST -orti (vv. 15 e 17)
PT -oglio (v. 27) > ST -iglia (vv. 12-13)
PT -ato (v. 4) = ST (v. 9)
PT -etto (v. 13) = ST (v. 11)
PT -ione (v. 24) = ST (v. 4)

7. Può sembrare curiosa anche la ripresa di un materiale come il vetro che in PT compare al v. 4 e torna poi in ST (v. 12) con l'immagine della bottiglia.
Poco più che una curiosità è invece il fatto che entrambi i componimenti esordiscono con un verso sdrucciolo.
Dopo l'elenco delle somiglianze risulta più agevole isolare le differenze tra i due testi. ST ha in più il riferimento all'aldilà, non ha una struttura metaforica come quella del precedente, non si rivolge ad un tu ma ad un voi.
PT si richiama ad una ambientazione terrestre ed infatti ne cita alcuni luoghi (v. 17), ST è invece praticamente privo di coordinate spaziali: anzi l'unica determinazione di luogo (strada al v. 8) fa parte di una narrazione al passato e quindi risulta esclusa dalla realtà del poeta dove evidentemente non trova parte.
Un'ultima differenza sostanziale può trovarsi nel trattamento riservato agli oggetti simbolici che di solito Montale esorta a conservare o che comunque riveste di importanza. Così la cipria del PT deve essere conservata, mentre l'esatto opposto avviene con la bottiglia che in ST (v. 12) viene invece gettata.

Passo ora ad analizzare le coincidenze tra Secondo testamento e Lettera a Malvolio.

1. Sono testi epistolari.
2. In LM leggiamo "la partita è aperta" (v. 35), concetto che forse troviamo completato in ST dove si legge "vincerà il niente di ciò che sopravvive" (vv. 2-3).
3. Le negazioni.
LM: vv. 1, 6, 10, 14, 29,30. ST: vv. 1, 5, 8, 14.
Non a caso sono tutte concentrate nelle stesse zone, quelle iniziali, che hanno lo scopo di convincere e argomentare.
4. Le esortazioni.
LM: v. 32 e v. 34. ST: vv. 16-17.
I testi qui interagiscono per almeno tre ragioni: utilizzano lo stesso verbo (lasciare), utilizzano l'esortazione una sola volta e sempre in fase conclusiva quasi a voler sigillare il discorso.
5.La presenza di ossimori, contrasti, termini e frasi che si contraddicono.
LM: vv.19, 23, 34. ST: vv. 2, 3, 7, 10, 17.
6.Altri punti di contatto si possono trovare nei termini mia (LM 1 e 34, ST 6 e 12) e mai (LM 1 e 6, ST 8 e 14), anagrammaticamente parenti, usati lo stesso numero di volte.
Torna nei due componimenti l'idea di elementi piccoli, minimi: LM v. 11, ST vv. 6-7. Torna anche l'idea del prima: LM v. 9 ST v. 7. Torna il termine ora: LM vv. 21 e 25, ST v. 11. Torna l'idea di fine: LM vv. 25 e 36, ST vv. 11 e 14. Si ritrova in entrambi il concetto di sopravvivenza: le varianti di LM ai vv. 33-35 parlavano di sopravvivenza corporale, ST nomina ciò che sopravvive (v. 3) ed esorta a rinvivire i morti (vv. 16-17).

Concludo queste osservazioni segnalando la presenza di due anagrammi cliziani all'interno di Secondo testamento (vv. 6-7), conscio che ancora molti percorsi potrebbero essere esplorati, perché molte domande rimangono ancora in sospeso. Basti una per tutte: siamo davvero certi che questo è l'ultimo testamento?
Forse nuovi messaggi verranno dall'aldilà.

 


Note:

(1) Che chiamerò PT.
(2) Che chiamerò LM.
(3) Si veda P.V. MENGALDO, La tradizione del Novecento, Firenze, Vallecchi, 1987.

 


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