Giorgio Melloni
L'Hypertext Hotel di Robert Coover


Nel panorama degli studi letterari, fra le università statunitensi è riconosciuta alla Brown University di Providence un'originale fisionomia - insieme ad altri motivi - in virtù anche della riflessione portata avanti sulle potenzialità del mezzo telematico ipertestuale e del particolare impiego che ne è stato fatto nei corsi universitari da parte di alcuni professori. Fra di essi vanno senz'altro ricordati George Landow, che può forse essere considerato uno tra i più importanti teorici dell'ipertesto negli Stati Uniti (fra i suoi studi non pare privo di utilità ricordare il libro pubblicato nel 1991 col titolo Hypertext: The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, in cui Landow esplora, per così dire, da vicino, sulla scorta delle sue molteplici esperienze didattiche, la relazione pratica fra l'insegnamento della letteratura e l'ipertesto, facendosi fautore di una sempre più profonda, e proficua, interazione fra informatica e teoria della letteratura); Massimo Riva che, coadiuvato da un gruppo di dottorandi in Italianistica, ha dato il via, proprio l'anno passato, ad un corso sul Decameron di Boccaccio basato sull'impiego - quindi anche la costruzione - dell'ipertesto, da cui è nato il progetto (riproposto da Riva anche quest'anno, in uno dei suoi corsi insegnati alla Brown, e destinato ad allargarsi e perfezionarsi negli anni a venire) del Decameron Web, «iper-libro telematico» disponibile - ovviamente in assetto non definitivo, bensì suscettibile sempre di ulterioriori aggiunte e modificazioni - su Internet nella forma «HTML» (Hypertext Mark-up Language) propria di World Wide Web; e infine Robert Coover. Questi, considerato uno dei più originali fra gli scrittori americani della «penultima» generazione, autore, tra le altre cose, di romanzi quali The Origin of the Brunists (1966), Spanking the Maid (1982), Gerald's Party (1985), Whatever happened to Gloomy Gus of the Chicago Bears? (1987), A Night at the Movies (1987), Pinocchio in Venice (1991), insegna alla Brown un corso di «creative writing» avvalendosi da alcuni anni dello strumento ipertestuale; tramite in questo caso di espressione e creatività, nonché riflessione ed esercizio sulla scrittura. Hypertext Hotel è il titolo scelto da Coover per questo romanzo ipertestuale, luogo a un tempo - come s'è appena accennato - di esercitazione creativa e di lettura interpretativa, di rifrazione infinita dei microtesti formanti il possibile macrotesto, o «ipotesto» lineare - che è immagine opaca dell'idea tradizionale di libro ed è assimilabile, con metafora ancora desunta dalla Fisica (si spera in modo non troppo approssimativo), a uno spettro - attraverso i molteplici (e potenzialmente infiniti) legami del prisma ipertestuale.

Prima di vedere alcune delle caratteristiche - in una vasta accezione - «letterarie» dell'Hotel, è necessario fare alcune precisazioni sul sistema di ipertesto adottato da Coover in classe - e quindi adoperato anche dal sottoscritto nella lettura dell'(iper)documento - e sul nuovo assetto telematico che assumerà in futuro questo «albergo informatico». La versione più aggiornata dell'Hotel si può leggere attualmente in «Storyspace», il cui linguaggio ipertestuale permette la visualizzazione e la costruzione dei vari testi tramite la loro organizzazione in rispettive «finestre» o scatole, fra di esse collegate sia gerarchicamente, nelle modalità di un incastro successivo per cui ogni scatola può contenere infinite altre scatole così come non contenerne nessuna, sia trasversalmente, attraverso il legame specifico di parole contenute nelle «finestre-documento» (distinte quindi dalle «finestre-contenitore», cornici di ipotesti concatenati, e non assoggettate a una medesima distribuzione gerarchica). L'intenzione di Coover (e del suo staff di collaboratori, ossia Robert Arellano, Brian Goldberg, Julian Richards, ricordati anche in una delle finestre dell'hotel ipertestuale intitolata, naturalmente, «Board of Directors») però è di trasportare l'Hypertext Hotel su Internet attraverso il sistema «HTML» (riferisco qui quello che ha detto lo scrittore nel darmi una copia dell'Hotel su dischetto). Il vantaggio principale sarebbe quello di immettere nel mondo virtuale del Web l'ipertesto originario aprendolo all'espansione di una molteplice dialogicità: essa non solo è potenzialmente infinita - questa è caratteristica presente in nuce in ogni opera letteraria - ma diviene anche lo spazio in cui la comunità mondiale dei lettori informatici partecipa più da vicino, e quasi simultaneamente, al processo creativo che è alla base della formazione dell'ipertesto. Proprio a proposito di questo fenomeno (indipendentemente dal caso specifico dello scambio continuamente aperto offerto dal WWW) Landow ha teorizzato la figura del «wreader», cioè del lettore attivo, che attua nel medesimo momento le due funzioni di scrittore e lettore. Coover intende mettere in pratica questa possibilità su Internet, attraverso la creazione (già iniziata e tutt'ora in fase di realizzazione) di tre distinti luoghi deputati ad ospitare il progetto intertestuale imperniato sull'Hotel. Il primo sarebbe rappresentato dal «Main Body Hotel» (cioè la struttura principale dell'hotel), ossia dall'ipertesto creato a lezione e modificato volta per volta dai professori e dagli studenti coinvolti nei nuovi corsi - sempre sotto la supervisione «democratica» di Coover; il secondo assolverebbe la funzione di una «Conference Room» (la sala adibita alle riunioni), quindi uno spazio destinato alla conversazione libera, aperta a tutti i lettori; il terzo, infine, la «Wing» (o «Ala») dell'ipertesto/hotel, garantirebbe a chiunque volesse farlo di includere nuove o vecchie narrazioni, e di proporre al vaglio del succitato comitato di Brown anche l'inserimento di pezzi inediti all'interno dell'Hotel. L'approdo dell'Hypertext Hotel su WWW comporta però anche la rinuncia ad alcuni dei vantaggi offerti da Storyspace: per esempio la possibilità di stabilire legami fra parole o gruppi di parole all'interno di testi diversi (mentre in HTML esistono legami quasi esclusivamente del tipo parola-finestra), ma soprattutto l'uso di «Guardfields», uno dei dispositivi di Storyspace che permette di creare una «map overview» (indice-guida) dei documenti e dei legami principali e secondari, di guidare così il lettore secondo una data serie di documenti e proporgli già i passi, gerarchicamente organizzati seppur non obbligatori, di un percorso di lettura.

Grazie anche alla «mappa» offerta dalla versione in Storyspace dell'Hotel mi è stata possibile una prima rapida «navigazione», cui sono seguiti poi gli altri spostamenti trasversali e i successivi approfondimenti. Si renderà conto di questo movimento principale, accennando solamente - per ragioni di spazio - ad alcune delle molteplici storie e dei molteplici particolari disseminati nei vari testi e nei legami che li associano. La prima schermata dell'ipertesto porta all'attenzione del lettore la finestra-documento del «Front Desk» (la «Portineria»), concepita dunque come vero e proprio punto di partenza (o incipit). In essa (oltre all'apparizione dell'immagine fotografica dell'entrata di un grande hotel dall'ampia scalea, con volute che si perdono nell'oscurità dello sfondo) si legge, con altre cose, un saluto di benvenuto che finisce subito per assumere un tono ambiguo, quasi sinistro (traduco dall'inglese): «Questo non è propriamente un albergo accogliente, come può esserlo uno privo di un'adeguata gestione, il che equivale a dire che all'interno delle sue stanze e dei suoi corridoi può accadere virtualmente qualsiasi cosa ...». E chi si accinga dunque a leggere le storie che si intrecciano nei corridoi e nelle stanze - «contenute» in una delle cinque finestre-contenitore dipendenti da quella del «Front Desk» denominata «Room Directory» (ossia l'elenco delle stanze) - partendo proprio dal sistema di legami fra finestre dipartentesi dall'overview principale, si trova a passare innanzitutto attraverso la finestra-documento della testè citata «Room Directory». Essa, prima che sia riportato l'elenco delle undici stanze d'albergo coinvolte nella narrazione, è aperta da una citazione di The Blue Hotel di Stephen Crane, che sembra riprendere, con accenti di «umorismo» metaletterario, il passo appena riportato: «Ogni camera può presentare un lato tragico; ogni camera può essere comica». Le altre finestre-contenitore (a un tempo documenti) collegate al «Front Desk» sono chiamate rispettivamente «Service Directory» (l'elenco dei servizi offerti dall'hotel), «Employees Only» (i luoghi cui è permesso l'accesso solo ai dipendenti), «Construction Crews» («Il personale del cantiere edile», cui è connessa la finestra «Tool Box», letteralmente «Scatola degli attrezzi»). La prima di queste indica agli ospiti i vari servizi offerti dall'albergo, quali una «Grand Ballroom» (la «Sala da ballo principale»), «The Chapel» («La cappella»), etc.: fra di essi vale ricordare la possibilità di frequentare «Bars & Restaurants», nei quali è offerto fra i cocktail speciali della casa un Raymond Queneau's Cocktail; omaggio allo scrittore francese da parte di Coover, che lo considera, stando a quello che lui stesso m'ha detto illustrandomi l'Hotel, scrittore che concepisce la scrittura naturaliter in termini ipertestuali. La seconda a sua volta contiene le finestre chiamate «The Management», «Maintenance & Services», «The basement» («La cantina»): nelle «sotto-finestre» della prima leggiamo (ricostruendo la narrazione attraverso frammenti narrativi organizzati in contenitori diversi) della storia d'amore del portiere dell'albergo, Fred, e dell'addetta alla ricezione dei clienti, Sarah; della passione giovanile di questa per il pattinaggio su ghiaccio e di come la sua carriera sia stata stroncata da un'incidente in macchina (con i pattini conficcati nel ventre della ragazza) capitato mentre la madre la portava all'allenamento; della convocazione di Fred nel Comitato direttivo dell'Hotel insieme al manager, un viaggio in ascensore oltre il tetto attraverso le nuvole ad incontrare - nell'iperspazio - uno degli autori dell'ipertesto, che al povero Fred sofferente di vertigini sembra «più la parodia di un essere celestiale che non l'articolo genuino». È in questa occasione che uno degli dei dell'ipertesto consiglia al timido («Lo so che sei un personaggio timido, sono io che ti ho fatto così») Fred di guardarsi dal «Pizzaman» (l'addetto alla consegna delle pizze), dicendogli : «Sta dietro alla tua ragazza. E lui può essere te stesso più di se stesso». Non resterebbe che seguire i legami («links») che portano al personaggio che consegna le pizze: però il nostro personale ipo-spazio testuale - se mi si consente l'arguto motto - impone di chiudere. Prima di farlo, non si possono certo dimenticare quelle finestre provvisorie (cambianti col mutare dei corsi e delle classi di «creative writing» e destinate a sparire nella versione di WWW, a meno di un'utilizzazione di alcune delle proposte creative ivi contenute) dedicate alle esercitazioni degli studenti e chiamate «Construction Crews» e «Tool Box»: da queste - intese come laboratori di idee - potranno scaturire, sotto l'esame di Coover e dei suoi collaboratori, le nuove storie e i nuovi testi che arricchiranno la lettura/scrittura dell'Hotel.

Questo viaggio rapidissimo e rapsodico fra i frammenti dell'ipertesto progettato da Coover può dare forse l'impressione di un eccessivo spezzettamento e di una casualità di associazione (né capo né coda) che non rende giustizia all'intento degli autori e al senso profondo della scrittura ipertestuale, che è sempre comunque quello di esprimere e (ri)organizzare una totalità. Per questo pare opportuno concludere con la citazione sull'idea di «intero» che lo scrittore americano (alieno, credo, da intento antifrastico) ha tratto dalla Poetica di Aristotele e ha inserito nel contenitore intitolato «But What Is "Whole"?», una delle finestre del «Guestbook» (il «Registro» dei clienti dell'albergo), a sua volta contenuto nella scatola del «Front Desk»: «Invero, un intero è ciò che ha un inizio, una parte centrale, e una fine. Un inizio è ciò che non sta di per sé necessariamente dopo qualcos'altro, e che ha naturalmente qualcosa dopo di sé; una fine è ciò che viene naturalmente dopo qualcos'altro, sia come suo necessario che come suo usuale conseguente, e con nient'altro dopo di sé; e un centro è ciò che per natura sta dopo una cosa e ne ha anche un'altra dopo di sé ... Un intreccio ben costruito, perciò, non può né iniziare né finire in qualunque punto uno voglia: l'inizio e la fine in esso devono assumere le forme testé descritte. Di nuovo: per essere bella, una creatura vivente, e ogni intero costituito di parti, deve non solo presentare un certo ordine nella sua disposizione delle parti, ma anche essere di una certa definita grandezza».


n. quattro-cinque, maggio 1996 - 1996, n. 1


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