È stata davvero interessante questa giornata di studi, tenutasi a Reggio Emilia il 18 settembre, su "I primi sessant'anni della Federazione Anarchica Italiana". Una bella iniziativa, organizzata, molto bene come al solito, dai compagni della Federazione Anarchica Reggiana e dal Gruppo "Fratelli Cervi" della Val d'Enza, e coronata dalla partecipazione di più di un centinaio di presenti giunti un po' da tutta Italia. Una bella iniziativa perché ha permesso di aggiungere, come frutto di un serio ed approfondito lavoro di ricerca, un altro importante tassello alla ricostruzione di un importante periodo della storia della Federazione.
Da tempo, con risultati molto positivi, si è risvegliato l'interesse
per la ricerca storica sulle forme organizzative dell'anarchismo di lingua
italiana di questo secondo dopoguerra e ne sono testimonianza anche i due
corposi lavori usciti quest'anno, per i tipi delle Edizioni Zero in condotta
di Milano: di Antonio Cardella e Ludovico Fenech, Anni senza tregua. La
Fai dal 1970 al 1980 e, di Giorgio Sacchetti, Senza frontiere. Pensiero
e azione dell'anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986). Due opere che hanno
sicuramente stimolato, ne siamo certi, anche la promozione dell'iniziativa
di cui stiamo parlando.
Come si sa, sia per esperienza diretta che per "trasmissione orale",
la vita della Federazione, nella sua esemplare capacità di rappresentare
gran parte delle vicende dell'anarchismo di casa nostra, ha vissuto momenti
di grande intensità e complessità, attraversando le vicende
politiche e sociali più importanti del paese. Vita collettiva di
una Federazione sempre ben presente e rappresentata a livello nazionale,
ma anche vite individuali, irripetibili nelle loro ricche e avventurose
esperienze, che nel loro insieme hanno contribuito a caratterizzarne la
storia. Ed è proprio da alcune di queste vite individuali, da queste
biografie interpretabili come "nessi fra iniziative personali e necessità
sociali", che ha avuto inizio il Convegno, con gli interventi di Massimo
Ortalli su Mario Mantovani, di Paolo Finzi su Alfonso Failla e di Giorgio
Sacchetti su Umberto Marzocchi (questo, a tratti, a due voci per gli apprezzati
interventi di Adria Marzocchi dal pubblico).
Ricomponendo i momenti più significativi delle loro esistenze,
quelli pubblici come quelli "privati", i tre relatori hanno così
ricostruito dall'interno, e spesso con grande partecipazione, non solo
un quadro militante veramente straordinario nella eccezionalità
delle vicende vissute dai tre anarchici, ma anche il processo di maturazione
che portò alla costituzione della Fai al Congresso di Carrara del
1945 e al successivo e spesso "tribolato" lavoro federativo. Processo di
maturazione rivisitato non solo come momento dialettico in senso strettamente
politico, ma anche come frutto del continuo confronto personale che faceva
colloquiare questi compagni pressoché quotidianamente.
Del resto, come ha ben evidenziato Marco Rossi (Dall'antifascismo alla
Resistenza) la Fai, almeno come sigla ma sicuramente anche come ispirazione,
non nasce nel 1945 ma precedentemente, già nei primi anni quaranta,
allorché le numerose attività clandestine e combattenti degli
anarchici si richiamano a una Federazione, ispirata, nel nome, anche alla
Fai iberica.
Dalla Resistenza, valutata in tutta la sua importanza etica e politica
da Marco Rossi, si passa poi alla ricostruzione e al lungo periodo di assestamento
organizzativo della Federazione. Ne ha parlato, con la precisione che gli
conosciamo, Italino Rossi (Dalla costituzione della Fai al 1965), che ha
dimostrato come gli "incidenti di percorso" rappresentati dalla formazione
dei Gaap e dalla scissione dei Gia non furono altro che la conseguenza
di una mancato processo di chiarificazione iniziale fra l'anima organizzatrice
e quella antiorganizzatrice dell'anarchismo italiano. Solo nel 1965, con
la separazione anche fisica fra le due anime, la Fai troverà una
struttura organizzativa adeguata ai suoi postulati.
Degli anni cruciali, per la "rinascita" complessiva dell'anarchismo
italiano, ha approfonditamente parlato Franco Schirone (Gli anarchici nel
'68). Percorrendo la storia della Federazione anarchica giovanile italiana,
si è ricostruita la situazione sociale, complicata e per tanti aspetti
entusiasmante, che vide il nascere di un nuovo spirito, antiautoritario
e libertario nella gioventù italiana. Spirito manifestatosi dapprima
nei movimenti beat e provo e, successivamente, in quelli che dettero vita
alla grande e fruttifera stagione della "contestazione globale". Molti
furono gli incontri, e anche gli scontri, fra queste due espressioni dell'insoddisfazione
e della voglia di cambiamento di quegli anni, tutti qui accuratamente ripercorsi.
Successivamente Ludovico Fenech (La Fai negli anni '70) ha ripercorso,
in certi momenti con personale commozione, le ricche e spesso travagliate
vicende vissute dalla Federazione in un decennio cruciale per la storia
del Paese. Da una parte i mutamenti epocali nel ciclo economico che richiedevano
un'attenzione particolare, dall'altra la radicalizzazione dello scontro
politico con la diffusione del fenomeno lottarmatista che interessava anche
il movimento anarchico. In mezzo una Federazione alla prese con i soliti
problemi organizzativi interni, questa volta si tratta dei neopiattaformisti,
e concentrata sul dibattito sul ruolo del movimento operaio e sulla valenza
della lotta di classe. Ma anche capace, spesso, di dare risposte convincenti
alle domande che nascevano dalla società.
Oggi di quello che ha percorso quegli anni non è rimasto quasi
nulla, ma c'è ancora una Federazione in grado di cogliere, e rispondere,
alle mille domande che le nuove emergenze sociali pongono sul tappeto.
Ne ha parlato, con la consueta lucidità, Massimo Varengo (L'attualità
della Fai) il quale, a differenza di chi lo ha preceduto, ha parlato non
del passato, ma del futuro della Fai, di questa organizzazione rivoluzionaria,
antimilitarista e internazionalista. "Siamo ancora in piedi" ha affermato
e "dobbiamo saper dare risposte concrete e offrire proposte convincenti".
Nella consapevolezza che il processo di demonizzazione e ghettizzazione
che ci vorrebbe coinvolti, e al quale in troppi collaborano più
o meno consciamente, vorrebbe impedire che i movimenti di opposizione vengano
influenzati, anche nel presente come fu nel passato, dagli anarchici. Ma
la Fai, mantenendo intatti i propri postulati rivoluzionari, saprà
svolgere, ancora una volta, il suo ruolo.
In questa giornata dedicata alla Fai non poteva mancare il ricordo,
espresso con commozione dal compagno-tipografo Donato Landini, di Alfonso
Nicolazzi, un altro compagno che ha interpretato la propria esistenza alla
luce di un impegno militante, umano e sociale, che ha trovato compiuta
espressione nella vita federativa. Sapendo che non avrebbe mai mancato
a questo appuntamento, penso che la qualità delle relazioni sia
il miglior omaggio che potessimo rendergli.