"FAI: i nostri primi 60 anni. Tra memoria e futuro", di Massimo Ortalli, "Umanità Nova", 25 settembre 2005

È stata davvero interessante questa giornata di studi, tenutasi a Reggio Emilia il 18 settembre, su "I primi sessant'anni della Federazione Anarchica Italiana". Una bella iniziativa, organizzata, molto bene come al solito, dai compagni della Federazione Anarchica Reggiana e dal Gruppo "Fratelli Cervi" della Val d'Enza, e coronata dalla partecipazione di più di un centinaio di presenti giunti un po' da tutta Italia. Una bella iniziativa perché ha permesso di aggiungere, come frutto di un serio ed approfondito lavoro di ricerca, un altro importante tassello alla ricostruzione di un importante periodo della storia della Federazione.

Da tempo, con risultati molto positivi, si è risvegliato l'interesse per la ricerca storica sulle forme organizzative dell'anarchismo di lingua italiana di questo secondo dopoguerra e ne sono testimonianza anche i due corposi lavori usciti quest'anno, per i tipi delle Edizioni Zero in condotta di Milano: di Antonio Cardella e Ludovico Fenech, Anni senza tregua. La Fai dal 1970 al 1980 e, di Giorgio Sacchetti, Senza frontiere. Pensiero e azione dell'anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986). Due opere che hanno sicuramente stimolato, ne siamo certi, anche la promozione dell'iniziativa di cui stiamo parlando.
Come si sa, sia per esperienza diretta che per "trasmissione orale", la vita della Federazione, nella sua esemplare capacità di rappresentare gran parte delle vicende dell'anarchismo di casa nostra, ha vissuto momenti di grande intensità e complessità, attraversando le vicende politiche e sociali più importanti del paese. Vita collettiva di una Federazione sempre ben presente e rappresentata a livello nazionale, ma anche vite individuali, irripetibili nelle loro ricche e avventurose esperienze, che nel loro insieme hanno contribuito a caratterizzarne la storia. Ed è proprio da alcune di queste vite individuali, da queste biografie interpretabili come "nessi fra iniziative personali e necessità sociali", che ha avuto inizio il Convegno, con gli interventi di Massimo Ortalli su Mario Mantovani, di Paolo Finzi su Alfonso Failla e di Giorgio Sacchetti su Umberto Marzocchi (questo, a tratti, a due voci per gli apprezzati interventi di Adria Marzocchi dal pubblico).
Ricomponendo i momenti più significativi delle loro esistenze, quelli pubblici come quelli "privati", i tre relatori hanno così ricostruito dall'interno, e spesso con grande partecipazione, non solo un quadro militante veramente straordinario nella eccezionalità delle vicende vissute dai tre anarchici, ma anche il processo di maturazione che portò alla costituzione della Fai al Congresso di Carrara del 1945 e al successivo e spesso "tribolato" lavoro federativo. Processo di maturazione rivisitato non solo come momento dialettico in senso strettamente politico, ma anche come frutto del continuo confronto personale che faceva colloquiare questi compagni pressoché quotidianamente.
Del resto, come ha ben evidenziato Marco Rossi (Dall'antifascismo alla Resistenza) la Fai, almeno come sigla ma sicuramente anche come ispirazione, non nasce nel 1945 ma precedentemente, già nei primi anni quaranta, allorché le numerose attività clandestine e combattenti degli anarchici si richiamano a una Federazione, ispirata, nel nome, anche alla Fai iberica.
Dalla Resistenza, valutata in tutta la sua importanza etica e politica da Marco Rossi, si passa poi alla ricostruzione e al lungo periodo di assestamento organizzativo della Federazione. Ne ha parlato, con la precisione che gli conosciamo, Italino Rossi (Dalla costituzione della Fai al 1965), che ha dimostrato come gli "incidenti di percorso" rappresentati dalla formazione dei Gaap e dalla scissione dei Gia non furono altro che la conseguenza di una mancato processo di chiarificazione iniziale fra l'anima organizzatrice e quella antiorganizzatrice dell'anarchismo italiano. Solo nel 1965, con la separazione anche fisica fra le due anime, la Fai troverà una struttura organizzativa adeguata ai suoi postulati.
Degli anni cruciali, per la "rinascita" complessiva dell'anarchismo italiano, ha approfonditamente parlato Franco Schirone (Gli anarchici nel '68). Percorrendo la storia della Federazione anarchica giovanile italiana, si è ricostruita la situazione sociale, complicata e per tanti aspetti entusiasmante, che vide il nascere di un nuovo spirito, antiautoritario e libertario nella gioventù italiana. Spirito manifestatosi dapprima nei movimenti beat e provo e, successivamente, in quelli che dettero vita alla grande e fruttifera stagione della "contestazione globale". Molti furono gli incontri, e anche gli scontri, fra queste due espressioni dell'insoddisfazione e della voglia di cambiamento di quegli anni, tutti qui accuratamente ripercorsi.
Successivamente Ludovico Fenech (La Fai negli anni '70) ha ripercorso, in certi momenti con personale commozione, le ricche e spesso travagliate vicende vissute dalla Federazione in un decennio cruciale per la storia del Paese. Da una parte i mutamenti epocali nel ciclo economico che richiedevano un'attenzione particolare, dall'altra la radicalizzazione dello scontro politico con la diffusione del fenomeno lottarmatista che interessava anche il movimento anarchico. In mezzo una Federazione alla prese con i soliti problemi organizzativi interni, questa volta si tratta dei neopiattaformisti, e concentrata sul dibattito sul ruolo del movimento operaio e sulla valenza della lotta di classe. Ma anche capace, spesso, di dare risposte convincenti alle domande che nascevano dalla società.
Oggi di quello che ha percorso quegli anni non è rimasto quasi nulla, ma c'è ancora una Federazione in grado di cogliere, e rispondere, alle mille domande che le nuove emergenze sociali pongono sul tappeto. Ne ha parlato, con la consueta lucidità, Massimo Varengo (L'attualità della Fai) il quale, a differenza di chi lo ha preceduto, ha parlato non del passato, ma del futuro della Fai, di questa organizzazione rivoluzionaria, antimilitarista e internazionalista. "Siamo ancora in piedi" ha affermato e "dobbiamo saper dare risposte concrete e offrire proposte convincenti". Nella consapevolezza che il processo di demonizzazione e ghettizzazione che ci vorrebbe coinvolti, e al quale in troppi collaborano più o meno consciamente, vorrebbe impedire che i movimenti di opposizione vengano influenzati, anche nel presente come fu nel passato, dagli anarchici. Ma la Fai, mantenendo intatti i propri postulati rivoluzionari, saprà svolgere, ancora una volta, il suo ruolo.
In questa giornata dedicata alla Fai non poteva mancare il ricordo, espresso con commozione dal compagno-tipografo Donato Landini, di Alfonso Nicolazzi, un altro compagno che ha interpretato la propria esistenza alla luce di un impegno militante, umano e sociale, che ha trovato compiuta espressione nella vita federativa. Sapendo che non avrebbe mai mancato a questo appuntamento, penso che la qualità delle relazioni sia il miglior omaggio che potessimo rendergli.