Livio Maitan, "La strada percorsa. Dalla Resistenza ai nuovi movimenti: lettura critica e scelte interpretative", introduzione di Fausto Bertinotti, Massari Editore, Bolsena (VT), 2002, pp. 720, euro 18.00

Due giorni dopo la presentazione di questo libro alla festa nazionale di Liberazione a Roma, avvenuta il 15 settembre, Vanessa, una giovane studentessa liceale, che aveva partecipato al dibattito, scriveva al quotidiano del PRC che non aveva avuto il coraggio di porre le tante domande che aveva dentro, e lamentava di non possedere ancora strumenti sufficienti “per comprendere la complessa storia del ‘900”. Di una cosa però era certa: sentiva di ammirare l’autore del libro e Alessandro Curzi che assieme ad altri lo aveva presentato e discusso, perché, diceva, “voi sì che avete vissuto” (lettera a Liberazione, 17 settembre 2002).
Che un libro di memoria storica sappia suscitare domande e interrogativi, soprattutto nei giovani, è di per sé un ottimo risultato che dipende anche dalle capacità narrative di chi espone. In questo caso l’autore racconta la sua “vita politica” che dura ormai da più di sessant’anni, lo fa utilizzando la partecipazione diretta agli eventi narrati e il quadro interpretativo che gli è stato offerto -e che ha contribuito lui stesso a costituire- rappresentato da una corrente storica del movimento operaio: la Quarta Internazionale, organizzazione alla quale ha aderito nel lontano 1947. Ad essa va riconosciuto un merito in assoluto, quello di aver affermato che il marxismo, le organizzazioni del movimento operaio, non possono rivendicare una continuità con lo stalinismo. Oggi, forse più di una volta, può sembrare una banalità, ma è una banalità gigantesca, che bisogna ridire perché deve diventare senso comune.
Come ha scritto nella prefazione il segretario del PRC Fausto Bertinotti, Maitan ci costringe ad una “splendida cavalcata attraverso sessant’anni di storia del movimento operaio in Italia e in Europa”; una storia narrata con sobrietà, equilibrio, mai demonizzante e sprezzante verso avversari e critici delle sue posizioni, tesa a ricostruire, con scrupolo, contesti, situazione, analisi politiche coeve al periodo considerato e riproposto nella forma di memoria. In questo senso, più che come opera memorialistica il libro si presenta come il lavoro di uno storico militante; una definizione, quest’ultima, niente affatto nuova, già presente nella riflessione dello storico delle guerre puniche Polibio, che sosteneva il diritto di chi ha “visto”, inteso come partecipazione agli avvenimenti di cui si parla, a raccontare e rielaborare i fatti accaduti, poiché poteva avvalersi di un punto di vista migliore e più esauriente di chi li desumeva solo dalla lettura dei testi e delle “carte”. Non si devono trascurare le “carte” e i fatti (e non è il caso del nostro autore), ma “carte” e fatti non parlano da soli, devono essere interrogati. E chi meglio di quelli che hanno partecipato agli eventi possono formulare le domande? In una ricostruzione storica chi fa le domande ha almeno la stessa importanza di chi da le risposte, perché ricordare gli eventi concomitanti ai fatti spinge chi racconta a precisare i singoli particolari degli avvenimenti.
Quella di Maitan è memoria che non si fida sempre e solo di se stessa, ma va a riconsiderare, a rileggere, a riprendere, cimentandosi con l’obiettivo di arrivare ad una considerazione storica, secondo un procedimento, tipico della storiografia, che tende, a differenza della memoria, a non assolutizzare mai i risultati, ma a relativizzarli, perché la storia è sovente delegittimazione del passato, continua rilettura di ciò che sembrava definitivamente acquisito. Così, spesso spiega, analizza, riconsidera, ripropone, narra la storia ponendosi egli stesso dentro la narrazione e non come voce narrante esterna.
Dalla Seconda Guerra Mondiale, alla caduta di Mussolini, alla Resistenza, fino ai tempi recentissimi del movimento dei movimenti, dall’incontro con Concetto Marchesi all’università di Padova, alla presa di coscienza politica antifascista, alla militanza nel rinato Partito Socialista, i primi comizi, i primi “tormenti sentimentali”, fino alla nascita del nipote, la tensione del raccontare resta viva, costringe alla lettura delle settecento e più pagine. Tantissime, evidentemente, sono state le persone conosciute e incontrate nel percorso dall’autore, di loro traccia ritratti sobri, leggeri ma consistenti, senza mai lasciarsi rivincere dalla vis polemica che a volte ci fu, com’è inevitabile e avviene nel momento in cui si manifestano contrasti e vedute politiche differenti.
Se nella storia resta in dubbio il tema dei corsi e dei ricorsi storici, nella vita delle persone, soprattutto se lunga e intensa come in questo caso, i ricorsi sono inevitabili. Divertenti, se il termine è consentito, e densi di significato, i reincontri che narra nel “calderone” di Rifondazione comunista, e non solo, con compagni di percorsi più o meno uguali, differenti, contrastanti, avvenuti nei decenni precedenti. Così poteva capitare, e all’autore è capitato, di incrociare Bertinotti che gli diceva: “Ti devo ringraziare perché hai contribuito alla mia formazione antistaliniana e antitogliattiana” (p. 633). Emerge una grande mappatura di percorsi individuali e collettivi della sinistra italiana dentro la quale egli inserisce anche la storia dell’organizzazione politica di cui ha fatto parte - i Gruppi Comunisti Rivoluzionari (poi Lega Comunista Rivoluzionaria), prima di confluire in Democrazia Proletaria e poi in Rifondazione Comunista- e il giornale Bandiera Rossa di cui è stato uno dei fondatori nel 1950.
Una storia densa la sua, una vita spessa si potrebbe dire, capace di suscitare l’invidia della giovane Vanessa citata prima la quale dice, paragonando il suo tempo a quel passato, “voi sì che avete vissuto”, denunciando un presente sciapo, confuso, incerto, debole, tipico per altro di una condizione esistenziale giovanile riscontrata in più di un’inchiesta sociologica, frutto d’eventi storici accaduti nell’ultimo ventennio che hanno profondamente cambiato quel mondo e quel contesto nel quale si è svolto una parte consistente del percorso di Maitan.
Come vanno letti e compresi quei fatti, com’è possibile aiutare la giovane studentessa che vuole capire il ‘900? Mettendo la storia al lavoro e cioè non limitandosi a posizioni di pigrizia storiografica e filosofica tipici di chi sostiene che tutto ciò che è accaduto doveva accadere, sprofondando in una sorta di determinismo fatalistico. Ancora e sempre lo storico ha il dovere di interrogare fatti e contesti, di ricostruire situazioni, di interrogarle circa le potenzialità esprimibili e poi di spiegare perché, tra le diverse opzioni presenti al momento, si è affermata una scelta e non un’altra.
Insomma, mettere al lavoro la storia, renderla utile alla vita e all’agire politico d’oggi, significa tener conto che occorre partire da un postulato pedagogico-educativo di fondo: “la storia, per dirla col Bertinotti dell’introduzione, si fa anche con i se e con i ma, e non è vero che esista un determinismo storico che predetermina le scelte concrete”. In questa scelta sta la forza del libro: i fatti, la politica dei partiti e delle organizzazioni del movimento operaio sono sempre interrogati e rapportati alla cornice generale, e le varie scelte sono sempre riferite, spiegate e giudicate riferendosi alle potenzialità del periodo.
D’altronde, proprio quelli che sostengono l’impossibilità di fare storia con i “se” e i “ma”, sono i primi a farne un uso apocalittico e scorretto. Per dimostrare che una scelta era l’unica possibile in quel momento, sono costretti ad ipotizzare, esagerandoli negativamente, scenari irrealizzabili, disastrosi, spaventosi. Spesso è accaduto, infatti, che scelte sbagliate e scorrette, le peggiori, fossero tramutate nel meglio possibile in nome del “meno peggio”, termine usatissimo per giustificare recentissimi compromessi e cedimenti da parte dell’Ulivo e delle forze che lo compongono. Quest’ultima allusiva considerazione ci porta a concludere che la strada percorsa da Maitan, pur cavalcando sessant’anni di storia, richiama l’attualità. Un libro da leggere, da presentare, da discutere, soprattutto assieme alle “vanesse” che popolano il mondo dei giovani comunisti e non solo.

Diego Giachetti